Era da poco avvenuto l’omicidio di George Floyd, lo scorso maggio, preceduto pochi mesi prima da quello di Breonna Taylor, quando i profili social di tutto il mondo si sono riempiti di riquadri neri e di hashtag #BlackLivesMatter. Abbiamo assistito a un vero e proprio moto di solidarietà globale originata, sì, dall’ennesimo caso di violenza poliziesca negli Stati Uniti, ma che ne ha presto trasceso i confini fino ad assumere forme di rivendicazione di giustizia sociale per tutte le comunità del mondo che subiscono razzismo.
In quelle settimane più che mai le voci delle persone nere sono state ascoltate e amplificate e il privilegio bianco messo sotto accusa. Alle persone bianche è stato chiesto di prenderne maggiore consapevolezza, ma soprattutto di mettere al lavoro questo privilegio che le accompagna fin dalla nascita e impiegarlo attivamente in favore dell’antirazzismo.
Essere antirazzista non equivale semplicemente a non essere razzista. La differenza sta nel fare azioni concrete per prevenire, contrastare e condannare le discriminazioni.
Ecco 7 modi per essere dellз buonз alleatз:
1. Studia, informati!
Per farlo devi educarti: fare ricerche sul razzismo sistemico in Italia e nel mondo, sulla sua storia e lз attorз che ne hanno fatto parte in passato e che ne fanno parte oggi. Fatti una cultura attraverso i libri, le risorse accademiche e non, piattaforme militanti, produzioni audiovisive, influencer in rete. Le fonti sono innumerevoli, ma ricorda di decolonizzare il tuo pensiero, dando priorità alle fonti prodotte da persone direttamente interessate dal razzismo. Questo non toglie che persone bianche possano essere autorevoli sul tema, ma di voci e punti di vista bianchi ne sono già pervasi i media, le università, il dibattito mainstream e la società in generale. Cerchiamo di invertire, attraverso il nostro consumo culturale, questo trend discriminatorio.
2. Chiedi, quando non sai, ma non aspettarti che le persone non bianche ti debbano educare per forza
Studia e informati con le risorse che ci sono a disposizione, usando le tue forze, perché questo è il minimo sindacale che ti viene richiesto. Non è un dovere delle persone interessate dal fenomeno del razzismo educare chi non lo è: se lo fanno è perché vogliono farlo, ma non per questo dobbiamo pretendere che rivestano questo ruolo tutto il tempo. Moltз sono stanchз di farlo perché, a contrario della persona bianca di turno che, a un certo punto, si è trovata a imbattersi in discorsi sul razzismo, loro ci sono immersз da tutta la vita, e le loro famiglie prima di loro, senza né la scelta né il lusso di potersi temporaneamente sottrarre all’oppressione. Alcunз invece possono non aver voglia o interesse di approfondire certi temi e questo è un loro diritto che in quanto tale va rispettato. Tutto questo, sia ben chiaro, non ci vieta di chiedere o cercare un confronto: qualunque domanda, se posta con riguardo e intelligenza emotiva, è lecita. Quindi, se dopo aver studiato ed esserci informatз abbiamo delle domande, cerchiamo di chiederle alle persone con cui abbiamo una relazione, facciamo in modo di creare uno spazio sicuro e accogliente, e soprattutto facciamolo con rispetto.
3. Ascolta, lascia spazio, non devi dire la tua per forza
La solidarietà manifestata sul web nelle settimane tra maggio e giugno 2020 ci fa ben sperare che qualcosa possa effettivamente cambiare, e che alcune oppressioni non passeranno più così inosservate, ma purtroppo tale mobilitazione globale ha portato con sé una bella dose di alleanza performativa, soprattutto da parte di persone bianche, più o meno influenti. Alleatǝ è una persona appartenente a un gruppo non marginalizzato che utilizza il proprio privilegio in sostegno di un gruppo marginalizzato. L’alleanza diventa performativa quando la persona non marginalizzata compie atti di supporto o solidarietà verso gruppi marginalizzati al fine unico di dimostrare pubblicamente la sua partecipazione e possibilmente ricevere una pacca sulla spalla per essere una “brava persona” o per avere a cuore certe lotte. Questo sciacallaggio della giustizia sociale è ancora più evidente nell’ambiente dei social network – che sono per natura performativi – e dà luogo a dinamiche dannose che oltre a glorificare singolз peronaggз privilegiatз per aver espresso indignazione in una Instagram story, deturpano tutta la questione razzismo della sua profondità, complessità, delle sue radici storiche e del suo carattere sistemico. Ma ancora più gravemente, creano così tanto brusio che le voci realmente interessate, quelle più incazzate, quelle con più cose da dire e che andrebbero ascoltate di più, finiscono per essere offuscate. Dunque proviamo a frenare la necessità di dire per forza la nostra al riguardo (a meno che non aggiunga qualcosa di utile o innovativo alla conversazione) e a passare, per una volta, il microfono la cui asta è da troppo tempo fissata davanti ai piedi delle persone bianche. Non dobbiamo dimostrare di essere “sul pezzo” , l’importante è che lo siamo. Proviamo, al contrario, a metterci in ascolto, a lasciare spazio a chi è direttamente toccatǝ dalla questione e quindi più intitolatǝ a parlarne e cerchiamo di amplificare le loro voci e le loro istanze, condividendole sui nostri spazi e stimolando dibattiti sulla base di quei contenuti.
4. Indigniamoci, ma consapevoli che non è nulla che già non conosciamo Evitiamo frasi come “È incredibile che questo possa succedere ancora oggi, nel 2021” perché le persone appartenenti a gruppi marginalizzati sono abituate all’odio e alla violenza razzisti da secoli e secoli. Commenti come questi rischiano di sminuire la loro esperienza che, al contrario di chi ne legge occasionalmente sui giornali - immersǝ nel privilegio di poter voltare pagina e dimenticare dopo due minuti - loro vivono sulla propria pelle da sempre. È giusto indignarci di fronte all’ingiustizia, ma anziché limitarci a esprimere il nostro shock distanziandoci moralmente dalla questione, adottiamo un atteggiamento proattivo: pensiamo da dove si può cominciare per scardinare progressivamente un sistema culturale xenofobo e promuovere così una società più equa, e parliamone.
5. Accettiamo il fatto che possiamo fare o dire cose razziste, e chiediamo scusa Quando una persona non bianca ci fa presente che abbiamo fatto o detto qualcosa di razzista, non giustifichiamoci dicendo che non avevamo intenzioni negative. Perché anche posto che non le avessimo, le nostre parole o azioni hanno evidentemente provocato un effetto negativo su qualcun altrǝ e sono risultate razziste. L’unica cosa da fare è accettare, chiedere scusa e poi fare un piccolo esame di coscienza. È importante sottolineare che fare o dire qualcosa di razzista non ci rende automaticamente razzistз: ci rende banalmente il prodotto di un società sistematicamente razzista. Detto ciò, possiamo, sì, tirare un sospiro di sollievo per non venire identificatз con qualcosa che in principio aborriamo, ma non siamo esenti dalla responsabilità di analizzare le cause del nostro comportamento e agire di conseguenza. Inoltre, smettiamo di avere la presunzione di definire cosa è razzista e cosa no (sempre sulla base di quali fossero o non fossero le nostre intenzioni) perché la nostra visione di persone bianche privilegiate è per natura parziale e di conseguenza non è rilevante di fronte all’opinione (e ai sentimenti) di chi si sente feritǝ da un atto razzista.
6. Abbandoniamo la retorica “colorblind”
“Siamo tuttз ugualз” è l’approccio che troppo spesso in ambienti in cui si vuole combattere il razzismo costituisce la base morale di ogni argomentazione. Per quanto benintenzionato, veicola un messaggio sbagliato. “Non vedere il colore della pelle”, oltre ad essere uno slogan superficiale e semplicistico, si fonda sul presupposto che le differenze etniche non esistano (o non contino) e di conseguenza invalida l’influenza enorme che la storia di imperialismo, colonialismo, segregazioni e neo-colonialismo inevitabilmente ha sulla società di oggi. L’idea di una società “colorblind”, che non vede il colore, oltre ad essere poco realistica è profondamente dannosa perché promuove un lavoro attivo di cancellazione della storia e delle relazioni di potere che hanno reso il mondo quello che è oggi. Ma soprattutto questa idea rischia di lasciarci senza gli strumenti e il linguaggio adatti per analizzare il razzismo e decostruirlo di conseguenza. L’obiettivo, infatti, non è quello di uniformare, omologare gruppi di persone diverse, bensì di puntare alla convivenza della diversità in quanto valore.
7. Agisci!
Se puoi “spuntare” tutti i precedenti punti della lista, sei prontǝ all’azione. Agisci, in tutti i modi che ti vengono in mente e usa creatività per trovarne altri! Onora i tuoi diritti (e doveri) politici votando, se puoi, per chi dimostra di avere un’agenda politica davvero volta a combattere razzismo e discriminazioni; partecipa a manifestazioni, assemblee, eventi, dibattiti online e offline, firma petizioni e falle circolare, informati sulle realtà locali della tua zona alle quali puoi unirti. Non aver paura di fare i primi passi in questi ambienti o contattare qualcunǝ perché ti dia qualche informazione: c’è sempre bisogno di nuovз compagnз alleatз! E, se puoi, contribuisci economicamente alla causa supportando le attività di persone non bianche. Tra i prodotti e i servizi che acquisti abitualmente, prova a cercare alternative offerte da realtà etiche gestite da non bianchз. Fai donazioni ad associazioni che si battono contro le discriminazioni, e fallo in silenzio, per te stessǝ e per chi è marginalizzatǝ, facendo attenzione alla trappola dell’alleanza performativa, che è sempre dietro l’angolo. Se ti inorridiscono le pratiche di sfruttamento sistemico che hanno luogo in molti paesi più poveri per mano di grandi aziende di paesi ricchi, usa il tuo potere di consumatorǝ per compiere scelte di consumo più consapevoli. Non acquistare prodotti di fast-fashion, di elettronica o da piattaforme di e-commerce che fondano il proprio successo sullo sfruttamento di esseri umani e ambiente. E infine: alza la voce quando assisti a episodi di razzismo! Troppo spesso atti discriminatori passano inosservati e impuniti, la maggior parte delle volte a causa della connivenza diffusa da parte di chi assiste. Invertiamo, dunque, questa tendenza: facciamo notare quando qualche cosa detta o fatta è razzista, offriamo il nostro supporto alla persona che l’ha subita e riprendiamo con decisione chi l’ha fatta o detta. Il nostro privilegio può essere cruciale in questi casi perché una persona bianca che si oppone attivamente a episodi di razzismo avrà tristemente molta più risonanza rispetto a una persona non bianca.
Elena Pagnoni
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