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Immagine del redattoreFederica Biffi

La crisi climatica è una questione economica (e sociale)

Il decennio 2011-2020 è stato il periodo più caldo mai registrato nella storia. La temperatura media globale è aumentata di 1,1°C rispetto ai livelli preindustriali e il riscaldamento globale continua a crescere di 0,2°C per decennio. Secondo quanto riportato dal rapporto di iLMeteo.it e Corriere della Sera, In Italia, le estati potrebbero estendersi fino a 5-6 mesi. Ecco perché, per evitare gravi impatti sull’ambiente e la salute, l’Accordo di Parigi mira a limitare il riscaldamento globale a meno di 2°C, con l’obiettivo ‘ideale’ di contenerlo a 1,5°C. 

Eppure, non si ha la certezza che questo sia sufficiente per invertire la direzione che il nostro pianeta sta prendendo. Per di più, crescere in un mondo incerto provoca la diffusione di sentimenti di preoccupazione, specialmente tra le persone più giovani. Secondo un sondaggio realizzato dall’Istituto Noto e commissionato da Repubblica nel 2023, il 72% delle persone italiane soffre di eco-ansia ed è pessimista per il futuro rispetto alla situazione ambientale. Quella che è stata definita come “eco-ansia” coinvolge la popolazione in tutte le fasce d’età. Le percentuali maggiori, però, si registrano nelle persone giovani (79%) rispetto a quelle adulte (65%) e anziane (60%). 


Occorre trovare un equilibrio tra sistemi economici, politici, ambientali, sociali. C’è chi ascolta le paure, ne parla e chiama i fenomeni con il loro nome, all’insegna di una nuova giustizia climatica; c’è chi si cimenta nella partecipazione politica e alimenta un dibattito doveroso e urgente. Abbiamo invitato Ferdinando Cotugno, giornalista esperto di tematiche ambientali e autore di Primavera Ambientale, Elena Zecchin e Gaia Giovagnoni, attivistɜ del movimento internazionale Fridays For Future per parlare del tema durante l’evento Eco-Ansia. Le conseguenze del cambiamento climatico sulla salute mentale, svolto presso mosso, Milano, durante il quale abbiamo presentato la mostra omonima realizzata da Ilaria Mautone in collaborazione con Malegaleco e vincitrice del bando Green Youth, un progetto di Mais Cidadania Association.





L’aumento delle temperature è la conseguenza del capitalismo


Il dibattito sul cambiamento climatico si intreccia sempre di più con il sistema economico globale, ovvero il capitalismo. È ormai chiaro che ogni discussione sul riscaldamento globale porti inevitabilmente a riflettere sulla sua relazione con il nostro sistema economico. Ad affermarlo durante l’evento è Ferdinando Cotugno, mettendo in luce come l’aumento delle temperature globali sia la conseguenza di un sistema che ha fatto della crescita e del profitto il suo principale obiettivo, ignorando i costi ambientali e sociali che ne derivano.


“Quando si parla di aumenti di temperatura di 1.1°C o 1.5°C rispetto all’epoca pre-industriale spesso si sottovaluta la portata di queste cifre”, dice Ferdinando Cotugno, evidenziando come queste siano misure che rappresentano un eufemismo rispetto alla gravità della situazione. La termodinamica del pianeta è ormai sconvolta; eppure, nei discorsi ufficiali, si fa spesso riferimento all’epoca pre-industriale, come se la rivoluzione industriale fosse un evento lontano e scollegato dalla nostra realtà. “In realtà, l’aumento delle temperature è strettamente legato all’inizio del capitalismo moderno, che ha contribuito all’inquinamento e al degrado ambientale”, è la tesi del giornalista. Un dato significativo è quello relativo alla temperatura media globale: una domenica di fine luglio è stata registrata come il giorno più caldo nella storia della civiltà umana, con una temperatura media di 17.09°C, superando per ben 57 volte la soglia dei 17°C dall’inizio del 2023. 


La domanda cruciale da porsi oggi, riflette Ferdinando Cotugno, non è tanto cosa fare per contrastare il cambiamento climatico, ma quando attuare queste trasformazioni. Se la transizione dovesse avvenire tra troppo tempo, potrebbe non essere sufficiente a invertire gli effetti già innescati. A ragione di ciò, dovrebbe verificarsi in questo decennio - o nei prossimi vent’anni. La sfida della nostra epoca, aggiunge, è quella di riconciliare i ritmi del capitalismo e quelli della natura, che hanno viaggiato fino ad ora a velocità differenti; capire se il sistema economico attuale sia in grado di adattarsi alla necessità di una transizione rapida e profonda, o se sarà la natura stessa a imporre inesorabile cambiamenti non negoziabili.





Non esiste azione collettiva senza azione individuale


In questo senso, l’azione collettiva è un catalizzatore di consapevolezza e azione. Lo sa bene chi fa parte di movimenti come Fridays For Future, che ha una storia importante di cambiamento culturale e politico; a trovarci durante l’evento lancio della mostra sono statɜ Elena Zecchin e Gaia Giovagnoni, che hanno dialogato, tra i vari temi, sul significato della mobilitazione e su come trasformare l’eco-ansia in un motore per l’azione. 


Secondo Elena Zecchin, dovremmo esercitarci a concentrarci sulla speranza, perché la paura, specialmente l’eco-ansia, può immobilizzare. “L’eco-ansia è un sentimento che blocca, che fa sentire sopraffattɜ dal panico. Per questo, credo che l’attivismo sia una risposta importante: se provate questa sensazione, trovate un gruppo locale o un movimento globale a cui unirvi. Che si tratti di piantare alberi o di protestare per la crisi  climatica, ogni azione conta, e non solo per il pianeta, ma anche per voi stessɜ”, è il suo invito.




Per provare a sostenere davvero il cambiamento, dovremmo allontanarci dalla dicotomia azione collettiva e azione individuale perché l’una non esclude l’altra. A pensarlo è Gaia Giovagnoni: “Il fatto di fare azioni deriva da un’azione collettiva, la quale è nutrita dalla rabbia individuale. La crisi climatica è diventata parte della nostra coscienza civile e la sua urgenza è palese. L’eco-ansia, la paura di un futuro incerto, è un sentimento ormai comune, ma possiamo trasformare questa paura in azioni concrete”. Come sostiene Elena Zecchin, “la rabbia è energia rinnovabile e ci aiuterà a creare questo futuro concreto”. L’approccio non sarà più soltanto ‘alto’,  globale, ma partirà dai nostri quartieri, dal micro, e lavorerà in sinergia con il macro. 


In fin dei conti, senza il dibattito, senza partecipazione politica, i grandi fenomeni destabilizzeranno sempre di più il nostro pianeta e invaderanno ogni aspetto delle nostre vite. Il futuro della civiltà dipende in gran parte dalla capacità collettiva di accelerare la transizione energetica e sistemica, mettendo al centro della discussione il rapporto tra capitalismo e ambiente e ridefinendo le priorità economiche e sociali.


Federica Biffi


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