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  • Immagine del redattoreElena Pagnoni

Caporalato e migrazione: un legame a doppio filo

"Lo sfruttamento è una forma di sopraffazione

che si determina quando qualcuno si appropria

del valore del lavoro altrui."

Aboubakar Soumahoro


Affermare che la schiavitù è finita quando i grandi imperi coloniali hanno promesso sarebbe finita, durante il secolo XIX, è un errore storico e una disonestà intellettuale abbastanza comune.


Di persone sfruttate e ridotte a merci da individui e organizzazioni ricche e potenti ne esistono ancora oggi. Anzi, in realtà superano in numero la cifra di persone ridotte in schiavitù di qualunque altro periodo storico (si parla oggi di 40 milioni).


Il caporalato in Italia è un esempio di schiavitù moderna, che vede ogni anno lo sfruttamento di decine di migliaia di persone, soprattutto migranti, nel settore agroalimentare. In questo articolo cercherò di descrivere il fenomeno, le sue cause e proporrò alcune azioni che possiamo fare quotidianamente per abbatterlo.


Cosa

Il caporalato è una forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera, specialmente agricola, che avviene attraverso persone intermediarie (i.e. caporali) le quali si incaricano di assumere, per conto deɜ datorɜ di lavoro e percependo una tangente, lavoratorɜ giornalierɜ, al di fuori dei canali regolari di collocamento e ignorando gli standard di contrattazione collettiva sui minimi salariali.


Questo sistema è ampiamente utilizzato in Italia nella raccolta stagionale di frutta e verdura, come pomodori, arance, fragole e uva da vino, tanto nelle regioni del nord che del sud.


A un primo sguardo, verrebbe da chiedersi: qual è il problema in un sistema di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro? Il problema risiede nel fatto che la figura dellǝ caporale ha progressivamente accumulato potere (spesso di stampo mafioso) e margine di azione, tanto da esercitare un controllo totale sulla vita dellз braccianti, occupandosi della gestione di tutta la loro vita: assunzioni, paghe, alloggi, trasporto, cibo, etc. Questo, combinato con lo stato di bisogno di queste persone, per la maggior parte immigrate irregolari (comunitarie e non), le costringe a dover vendere la propria forza lavoro a condizioni inumane.


  • Salari ampiamente inferiori al minimo sindacale (in media il 50% in meno di quanto previsto dai regolari contratti, guadagnando così dai 20 ai 30 euro al giorno) gravati dal sistema di pagamento a cottimo (e.g. per cassetta di pomodori raccolta). A fine giornata, il salario si riduce ulteriormente perché il trasporto, l’acqua e il cibo sono beni extra forniti daз caporali stessз a prezzi gonfiatissimi (e.g. 1,50 euro per mezzo litro d’acqua; 3,50 euro per un panino, e quote fino a 10 euro – cioè un terzo del salario della giornata – potrebbe essere illecitamente trattenuta dallǝ caporale per ogni bracciante reclutatǝ quella mattina)


  • Violazione sistematica della normativa circa orari di lavoro (la giornata di lavoro dura fino a 12 ore, senza che vengano concesse pause giornaliere, né riposi settimanali, né ferie annuali)


  • Condizioni di lavoro non sicure e insalubri: è terrificante il numero di casi di cronaca negli ultimi anni che riportano la morte di circa 1500 braccianti immigratɜ a causa di caldo torrido, fatica, sostanze tossiche, ma anche aggressioni da parte di caporali e suicidio.


  • Condizioni abitative e qualità della vita precarie, con persone costrette a vivere in baracche fatiscenti, tendopoli o container, dove l’accesso ad acqua corrente, standard igienici e servizi sanitari di base non è garantito.


  • Eccessivo controllo delle vite deз lavoratorз, attraverso una sorveglianza serrata e altre forme di abuso della privacy, della libertà e della vulnerabilità sociale e legale connaturata alla loro condizione.


  • Violenze e abusi fisici, verbali, psicologici e sessuali.


In memoria di Soumaila Sacko, bracciante maliano di 29 anni ucciso nel 2018 dal caporale per cui lavorava, mentre recuperava pezzi di lamiere per rinforzare la baracca nella quale viveva. Rest in power


Il caporalato è un esempio chiaro di intersezionalità delle oppressioni.


Le persone che lavorano affinché le nostre tavole siano ricche di ‘eccellenze italiane’ subiscono continue violazioni dei loro diritti e libertà fondamentali perché, da un lato, appartengono alla classe più povera, in estremo bisogno di risorse, e quindi facilmente schiavizzabile. Dall’altro, grava su di loro lo status di migrante irregolare extracomunitariǝ, che li colloca in una posizione subalterna rispetto aз caporali italiani o comunitarз. L’irregolarità offre un terreno fertile aglз sfruttatorз e lз legittima a spostare sempre più in basso l’asticella del rispetto della dignità umana dellз lavoratorз migranti, fortз del fatto che comunque esistono poche (o nessuna) possibilità che questз ultimз si organizzino o si ribellino.


A questi due livelli di oppressione (la classe e lo status di migrante irregolare) si aggiunge, per moltз braccianti un ulteriore strato sul quale agiscono le discriminazioni, e cioè il genere. In molti distretti di produzione agricola in Italia, lo sfruttamento delle donne è sistemico. Secondo l’ultimo Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Rizzotto (CGIL-FLAI), le braccianti migranti sono sottoposte, oltre alle aberranti condizioni di vita e di lavoro alle quali sono sottoposti gli altri braccianti, a un ulteriore tipo sfruttamento, quello sessuale. Oltre a percepire un salario più basso, a parità di ore di lavoro, rispetto ai braccianti uomini, le braccianti sono vittime di violenze sessuali sistematiche. Per moltз caporali e padronз, l’accesso al corpo delle lavoratrici migranti è un dato di fatto: sono stati rilevati diversi casi di tratta e sfruttamento a fini di prostituzione, in cui le donne sono costrette a versare una parte degli introiti a un capo che ha il controllo su questo traffico, oltre che sui loro corpi. Nelle aree ragusana e foggiana, per esempio, si è registrata un’altissima percentuale di interruzioni volontarie di gravidanza eseguite su donne romene, anche minorenni, in seguito ad abusi sessuali del caporalato. Le denunce, chiaramente, sono poche e i servizi dedicati all’assistenza e protezione di queste persone ancora molto limitati.


Perché?

I motivi per cui esiste questo tipo di schiavitù moderna nelle nostre campagne sono principalmente tre:

  1. L’ipercoop sotto casa fissa il prezzo dei prodotti. Lз braccianti pagano l’amaro prezzo delle logiche di mercato folli sulle quali si basano la grande distribuzione organizzata (GDO) e le multinazionali del settore agroalimentare. Esse fissano regole e prezzi insostenibili a monte della catena agroalimentare, principalmente attraverso strumenti che rasentano l’illegalità come le aste al doppio ribasso, le quali pongono in competizione lз variз fornitorз, per acquistare il prodotto finale al prezzo più basso possibile, e scaricando così sull’anello più debole – chi lavora la terra – la riduzione dei costi.

  2. Il caporalato conviene. È un sistema molto più efficace, a livello pratico, rispetto alle ufficiali agenzie di collocamento, che riesce a fornire a datorз di lavoro manodopera a prezzi stracciati in tempi molto brevi. Nelle regioni in cui la presenza della criminalità organizzata è già capillare, inoltre, questo sistema trova terreno fertile, avvantaggiato dal fatto che le istituzioni sono inefficienti nel contrastarlo.

  3. È l’ennesima conseguenza del modello capitalista, il quale per sua natura può esistere esclusivamente se mira a massimizzare i profitti riducendo i costi quanto più possibile. Così il settore agroalimentare italiano, da manuale, ha generato nuove forme di schiavitù, che sono paradossalmente legittimate dal punto numero 1, ovvero dai meccanismi di mercato imposti dalla GDO. Nei dibattiti sul caporalato, infatti, è frequente sentire parlare di “stato di necessità” per le aziende agricole, le quali sono talmente vessate dalle gare al ribasso messe in atto dalla grande distribuzione che sono ‘costrette’ a ricorrere all’intermediazione illegale di forza lavoro sfruttata, pena la chiusura della loro attività. A rimetterci – sorprendentemente – è la classe operaia più povera e vulnerabile che, disposta ad accettare salari irrisori e condizioni di lavoro e di vita disumane pur di sopravvivere, è la più facile da schiavizzare. Detto ciò, problematizzare il caporalato senza mettere in discussione l’elemento che lo produce e lo perpetua – il capitalismo – significa mancare completamente il focus.


Cosa possiamo fare?

Nonostante l’approvazione della legge 199/2016 contro il caporalato e il programma di regolarizzazione del 2020 messo in atto durante l’emergenza Covid-19 siano passi in avanti necessari verso il contrasto al caporalato, la realtà di molti distretti produttivi italiani rimane ancora permeata da questo fenomeno.

Mentre le istituzioni concordano su strategie di azione più efficaci, ecco quattro cose che noi, persone comuni, possiamo fare quotidianamente per combattere il sistema di sfruttamento del caporalato.


Consuma in modo consapevole ed equosolidale. L’attuale mancanza di regolamentazioni internazionali sulla certificazione dei prodotti alimentari come “caporalato-free” o “slavery-free” rende difficile per lз consumatorз accertarsi della trasparenza nella loro filiera produttiva, e di conseguenza rende difficile compiere scelte di consumo etiche e consapevoli. Cerchiamo, quindi, di comprare il nostro cibo da filiere corte, come piccole aziende, mercati rionali, produttorз direttз della nostra zona. Sosteniamo, per quanto possiamo, le poche realtà che operano nella trasparenza e nella legalità, e che fanno della lotta al caporalato la loro missione quotidiana. Tra le altre, consigliamo Libera, CO.BR.AG.OR, NoCap, Agricoltura Nuova, Iamme, che si distinguono per etica e sostenibilità.


Informati e apri un dibattito! Conoscere il fenomeno del caporalato, le sue origini, cause e implicazioni è fondamentale per contrastarlo. Alcune delle letture che consigliamo sul tema sono:

  • Uomini e caporali: viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del sud (2008) di Alessandro Casagrande;

  • Umanità in rivolta: la nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità (2019) di Aboubakar Soumahoro;

  • Racconti di schiavitù e lotta nelle campagne (2019) di Sara Manisera;

  • Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell'agromafia italiana (2019) di Marco Omizzolo.

Segui e supporta anche il lavoro di attivistз, associazioni, campagne e sindacati che giornalmente lottano in prima linea per lo smantellamento del caporalato. Scrivine e parlane sui tuoi canali social – non se ne parla mai abbastanza – e usa le tue qualità, doti artistiche o creative e risorse varie per dare alla lotta forme nuove.


Impegnati nella lotta politica dal basso. La popolazione ha un grande potere contrattuale che va oltre il mero potere d’acquisto. Consumare prodotti e servizi in modo consapevole, infatti, non è sufficiente per generare una pressione su aziende e istituzioni tale da liberare il settore agricolo dalla piaga del caporalato. Dobbiamo organizzarci ed esercitare noi questa pressione, attraverso azioni mirate quotidiane, come per esempio: scrivere lettere, mail, petizioni per chiedere alle autorità che venga applicata la legge anti-caporalato, che vengano abbandonate le pratiche commerciali sleali come le aste al doppio ribasso; chiedere alle aziende totale trasparenza e onestà per quanto riguarda ciò che succede lungo la loro filiera di produzione. Puoi appoggiarti a iniziative mirate già esistenti come – ne cito una - la Rete del lavoro agricolo di qualità o crearne di nuove su scala locale. Partecipa a manifestazioni, scioperi dellз braccianti, a dibattiti e discussioni, partecipa e/o organizza eventi di sensibilizzazione e solidarietà sul tema. E, se puoi, organizza dei circuiti alternativi di produzione e distribuzione del cibo (che sia anche solo la coltivazione di pomodori nel tuo orto) che esulino dalle regole di mercato capitaliste, ma che si basino invece sull’autoproduzione e sullo scambio, e che favoriscano così, oltre alla lotta al caporalato, anche la solidarietà umana e l’ambiente.


Cerca la complessità. Come abbiamo visto, il fenomeno del caporalato è capillare, profondamente radicato nella “cultura” economica del settore agroalimentare italiano, e si avvale di un’architettura interna molto efficiente. Eppure questi non sono gli unici fattori da considerare per comprenderlo e smantellarlo. Il caporalato infatti è legato a doppio filo con la criminalità organizzata, la cattiva gestione dell’immigrazione e un modello di produzione capitalista che deve la sua esistenza allo sfruttamento (di persone e dell’ambiente). Adottiamo quindi uno sguardo critico che soppesi tutti questi elementi, consapevoli del fatto che solo con un approccio comprensivo di tutti questi aspetti si potranno davvero creare le condizioni per abolire il caporalato. Chiediamo l’abrogazione (totale e definitiva) dei “decreti sicurezza”, di ogni strascico di salviniana memoria, e di tutte quelle leggi sull’immigrazione basate sull’assunto pericoloso per cui non si può entrare regolarmente in Italia senza un contratto di lavoro già stipulato. Leggi di questo tipo, come la ventennale Bossi-Fini, non limitano l’immigrazione, ma sortiscono l’effetto che le persone arriveranno irregolarmente e si inseriranno nei substrati dell’economia sommersa sui quali prosperano agromafie e caporali. Chiediamo sanatorie e regolarizzazioni totali dellз migranti che lavorano in agricoltura, senza clausole o asterischi, e pretendiamo riforme sostanziali delle politiche europee in materia di immigrazione.


Elena Pagnoni

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