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  • Immagine del redattoreErica Ruggieri

Dal costrutto alla fluidità di genere

Spesso ed erroneamente, "sesso" e "genere" sono due termini che vengono utilizzati come sinonimi. Tuttavia, sono due concetti distinti e separati, che bisogna guardarsi bene dal confondere.


Con il termine "sesso" si fa riferimento alle caratteristiche biologiche con cui una persona nasce e che si sviluppano con la crescita. Alcune di queste caratteristiche possono essere: genetiche, sessuali primarie (cioè gli organi dell'apparato riproduttivo), sessuali secondarie (come altre caratteristiche fisiche e anatomiche). È da queste che è nata la distinzione tra maschio e femmina.


D'altra parte, con il termine "genere" si fa riferimento alla distinzione sociale e culturale storicamente associata alla categoria del maschio ed alla categoria della femmina. Esse, infatti, non sono naturali e innate, bensì costruite da ogni cultura a partire dalle differenze biologiche dei due sessi.


Il genere è un costrutto sociale


Proprio in quanto dimensione sociale e culturale, si può definire il genere come un concetto costruito che varia tra le culture. È dunque a partire dai caratteri sessuali biologici che la società di appartenenza attribuisce un genere ad ogni persona.


Marco Aime – insegnante di Antropologia Culturale all'Università di Genova – definisce la cultura come “un processo in continua elaborazione”, “qualcosa che noi costruiamo sempre in relazione a qualcun altro”. Le componenti sessuali, dunque, non hanno un genere di per sé, ma esso gli viene assegnato per il ruolo che rivestono nella riproduzione e nella costruzione sociale dello stesso. In altre parole, anche le caratteristiche del sesso biologico si traducono in un genere dettato dall'interpretazione collettiva che ne viene fatta.


Le idee sul comportamento appropriato per ciascun genere sono sostenute e fatte circolare continuamente da esponenti di vari settori: insegnantɜ, genitorɜ, rappresentantɜ delle istituzioni, da chi gestisce i media (Anna Maria Venera, 2014). Il costrutto di genere, infatti, invade tutti gli strati della società e pone le sue fondamenta già nelle primissime fasi del processo educativo di ogni persona. Per questo motivo, è ormai divenuto un automatismo attribuire ad una persona determinate caratteristiche socialmente e culturalmente associate ad un genere – possano esse essere estetiche e/o comportamentali –, per il solo fatto di averle assunte e/o rispecchiate.


Le distinzioni di genere creano disuguaglianze


Come scrive la sociologa australiana Raewyn Connell, “è proprio la credenza che la distinzione di genere sia qualcosa di naturale a rendere scandaloso il comportamento di chi non segue questo modello”. Il suddetto automatismo, infatti, causa l'associazione delle identità maschili e femminili a determinate aspettative, atteggiamenti e ruoli ben precisi; ne deriva che, sin dalla loro nascita, gli individui si trovano incasellati in schemi predefiniti di cui è difficile rendersi conto e da cui è complicato uscire.


A tal proposito, è dunque necessario prendere in considerazione le conseguenze – specialmente psicologiche – che il costrutto di genere comporta: ogni persona – consciamente o inconsciamente – si vede spesso costretta a reprimere se stessa e fare di tutto pur di non deludere le attese, pena la discriminazione e l'esclusione dai gruppi maggioritari e, più in generale, dalla società.


Un esempio è il fenomeno del passing all’interno della comunità trans*, ovvero “l’abilità di una persona trans* di essere percepita conforme al genere d’elezione da un occhio esterno” che “porta con sé una contraddizione, poiché sta a indicare qualcosa di fittizio, falso, basato sull’imitazione”. Di fatti, il giudizio a cui le persone trans* sono sottoposte è ancora una volta basato su un’osservazione prettamente aderente ai ruoli di genere ed alla binaria dicotomia uomo/donna. Di conseguenza, esse potrebbero decidere di adeguarsi agli standard imposti per facilitare l’accettazione di sé all'interno della società, pena la propria libertà ed un riconoscimento parziale (Mattia Vannetti, 2019).


La filosofa e scrittrice esistenzialista francese Simone De Beauvoir scriveva, nel suo saggio più celebre titolato Il secondo sesso (1949): “Donne non si nasce ma si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo: è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”. Fu questa una cruciale intuizione di ciò che le diversità di genere, date per naturali, in realtà nascondono: il rischio che le differenze biologiche potessero essere ipostatizzate come difformità in tutte le dimensioni dell’umanità, a loro volta tradotte in disuguaglianze sociali e politiche. Alla prova dei fatti, tutto ciò ha sempre condotto a una netta asimmetria tra uomini e donne, con queste ultime in una posizione di costante svantaggio, presenti con i corpi ma assenti nella storia (Anna Maria Venera, 2014).


Non solo: i tratti tipicamente associati al genere maschile – intesi come l'insieme dei comportamenti e, più in generale, del modo di vivere interazioni sociali e connessioni emotive – hanno fortemente fomentato una crescente ricerca ed affermazione di potere ed egemonia maschile sulle donne. Ciò ha causato un notevole aumento di violenza verbale e fisica nei confronti di queste ultime, ma anche di tutte quelle soggettività che non rispecchiano e disertano i canoni e le regole socialmente imposte, come molte persone trans* e non binarie. Per questo motivo, si parla di violenza di genere.


Decostruire (o "disfare") il genere


È necessario rendersi conto della generalità del problema che il costrutto di genere – dunque la violenza di genere – comporta. Ogni persona, durante il corso della propria vita, diserta almeno una parte di quelli che sono i canoni imposti e autoimposti da millenni all'interno della società eterocispatriarcale di cui ogni individuo fa parte e che – anche inconsciamente – contribuisce a fomentare e tramandare. Ciò è dovuto all'incredibile moltitudine di soggettività ed alle infinite sfaccettature di cui ogni persona si compone, e che quest'ultima può scoprire, assumere e celare durante diversi momenti e periodi della propria vita.


Parafrasando Fare e disfare il genere (2004) della filosofa, femminista e teorista di genere Judith Butler, è necessario trovare modi grazie ai quali andare oltre la normazione, le "regolamentazioni di genere" radicate. Il genere si può disfare e, secondo Butler, non solo le concettualizzazioni e i ruoli possono cambiare, ma anche le soggettività. Si può immaginare la sessualità come qualcosa di fluido: un pendolo che oscilla all'interno di uno spettro di diversi modi di sentirsi e percepirsi. La sessualità è uno spettro e siamo noi le uniche persone a poterlo percorrere. Il genere, come costrutto sociale e qualsiasi altra cosa possa essere creata o edificata, può essere costruito e decostruito a proprio piacimento. C'è chi decide di fluttuarci dentro, tra un estremo e l'altro; chi decide di viaggiare su una traiettoria indefinita, non scegliendo nessun estremo; e chi decide di disertarlo completamente, vivendo al di fuori di qualsiasi norma sia mai stata imposta e indottrinata.


È importante riconoscere e convenire con la prospettiva che riconosce l'unicità di ogni vissuto e di ogni sfaccettatura. Abbracciare la diversità propria e altrui, non rigettarla, perché appartiene a tuttə. E venire a patti col fatto che non esista un modo giusto o sbagliato di essere, che ogni maniera di sentirsi è valida. Ma ciò può avvenire solo se si creano le condizioni necessarie affinché ogni persona possa sentirsi libera di mostrarsi come la versione più vera di se stessə; di abbandonare la maschera che la società ha senza consenso apposto su ognuna di esse; di vivere secondo le proprie regole.


Contrariamente a quanto si possa pensare, il costrutto di genere è nelle nostre mani, e con esse possiamo smantellarlo, disfarlo, distruggerlo. È nelle mani di chiunque abbia il potere di fare qualcosa per creare maggiore consapevolezza e migliorare la condizione di vita di chi abita questa società, sia essa anche solo una persona. Fino a quando non si potrà giovare di un’educazione scolastica e famigliare lontana da ogni imposizione superiore e socialmente costruita - è responsabilità di chi può contribuire alla lotta per coloro che ancora non hanno il privilegio di poter vivere secondo le proprie regole. Quando sempre più persone si sentiranno disarticolate da qualsiasi catena le trattenga e ognunə sarà in grado di poter "fare" e "disfare" il genere a proprio piacimento, potremo definirci completamente liberə da qualsiasi costrutto.


Erica Ruggieri


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