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Immagine del redattoreFederica Biffi

Dallo stato di natura alla società civile: l’origine della disuguaglianza secondo Rousseau

“Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire ‘questo è mio’ e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile.”


Così inizia la seconda parte del Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza (1755) del filosofo Jean-Jacques Rousseau. L’autore denuncia il conflitto tra stato di natura e società civile: le disuguaglianze sono effettivamente contronatura e sono dovute alla ricchezza. Infatti, esse rappresentano il risultato di un ‘patto iniquo’ imposto da chi detiene ricchezza a discapito di chi possiede meno, mediante l’istituzione legale della proprietà privata. Rousseau esalta la natura umana originaria, parlando dello ‘stato di natura’, che è in sé buona: il sentimento e la volontà pesano tanto quanto l’intelletto e l’essere umano convive bene con se stesso; infatti, nasciamo naturalmente differenti – più altə, più bassə – ma socialmente uguali: non suddivisi in categorie in base a ricchezza e povertà, borghesia e proletariato, monarchia e sudditanza; bensì ci inseriamo in esse.



Copertina del libro da cui è tratta la recensione: J. J. Rousseau, "Origine della disuguaglianza", Feltrinelli, Milano, 2015 (trad. dal francese di Giulio Preti)


Analizzando lo stato di natura, l’autore sostiene che il mondo naturale è un mondo semplice in cui le persone hanno la sola necessità di soddisfare i bisogni primari. Ciò che possiedono sono due sentimenti: l’amor proprio e la pietà e convivono serenamente con essi.


Sebbene l’essere umano finora sia sufficiente a se stesso e sia in equilibrio tra i bisogni e le risorse di cui dispone, ha due impulsi: è libero e desidera migliorare, perfezionarsi. Queste spinte generano un progressivo allontanamento dalla condizione naturale. Gli esseri umani iniziano a comunicare attraverso il linguaggio; questo li porta all’utilizzo della ragione e dell’intelletto: è così che iniziano a costituirsi le famiglie e, tra di esse, a sorgere piccole competizioni e rapporti di appartenenza – esemplificati dalle espressioni ‘mio marito’, mia figlia…’. Prima, tutto era di tuttə.


Tuttavia, l’armonia non è ancora minata. Essa crolla in definitiva con la nascita dell’agricoltura e della metallurgia. Con lo studio di queste discipline si possono creare strumenti che permettono di lavorare la terra: da nomadi si diviene contadinə e iniziano a formarsi le civiltà. Questa rivoluzione conduce al tramonto della società naturale con la costituzione effettiva della proprietà privata. Rousseau è il primo a individuare in essa, esaltata precedentemente dal filosofo inglese John Locke come un diritto naturale, la causa dell’inizio delle disuguaglianze tra chi possiede e chi non possiede. Considerando un terreno di proprietà, e non come ‘di tuttə’, nasce la distinzione tra chi possiede e chi no. Se il suolo si fosse valutato come un luogo comune, si sarebbero evitate le guerre e le disparità.



Jean-Jacques Rousseau, filosofo e scrittore svizzero (1712-1778)


Rousseau distingue tre tipi di guerre: due orizzontali, ossia ricchi contro ricchi e poveri contro poveri; e una verticale, ovvero ricchi contro poveri. I ricchi, a loro volta, fomentano le guerre dei poveri contro poveri, cioè l’anello più debole della società: propongono loro il ‘patto iniquo’ in cui tuttə cedono la libertà in cambio di protezione da parte di un sovrano, perdendo quindi i diritti.


Nascono la magistratura e i poteri esecutivo e legislativo, i quali si assumono il compito di legittimare le differenze. I due poteri divengono pertanto arbitrari di un sovrano trasformatosi in assolutista. Di conseguenza, alcune persone ne prevaricano altre.


Se è vero che con Rousseau sorge un pessimismo storico e politico secondo cui il progresso è deleterio, d’altro canto, la prospettiva che si apre è quella di un ottimismo antropologico: la natura umana possiede gli strumenti per slegarsi dal sistema corrotto creatosi. Il filosofo propone quindi un contratto che ponga fine alla disuguaglianza: il ‘contratto sociale’ – di cui parlerà nel libro dal quale prende il nome Il contratto sociale (1762) –, che è quello che più si avvicina all’uguaglianza; esso coincide con l’istituzione della democrazia. Questo patto non riporterà l’essere umano allo stato di natura perché la storia non torna indietro; piuttosto, è necessario guardare al futuro. Il progresso ha condotto alle ingiustizie e le persone devono agire, e possono farlo, per rompere il sistema e fondare una democrazia diretta, che operi a favore di tuttə.


Nella prefazione del libro, il filosofo Giulio Preti afferma che è solo con il pensiero socialista, a partire dalle teorie del filosofo, economista, storico Karl Marx, che si capirà che una vera democrazia è difficile da raggiungere senza un’uguaglianza sociale ma “ciò non toglie che Rousseau abbia il merito di aver formulato chiaramente, sia pure su di un piano astrattamente politico, l’idea della democrazia, e di avere mostrato come con la proprietà privata cominci l’infelicità umana”.


Federica Biffi

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