top of page
Immagine del redattoreAlice Astrella

Futuro, digitale, etica: al Monk di Roma l'evento per la Rome Future Week

Siamo all’inizio del futuro. Un futuro costituito in gran parte dal digitale. Ma come questo impatterà su ciò che verrà? La tecnologia è la chiave per un futuro più equo e sostenibile o accentuerà le diseguaglianze? Se ne è parlato durante l’evento Byte the Divide: spazi digitali e diseguali organizzato da Malegaleco in collaborazione con Rome Future Week che si è tenuto domenica 17 settembre al Monk di Roma. Sul palco Roberto Paura, Presidente di Italian Institute for the future, Martina Todaro, Docente di AI Ethics all’Università di Trento e Consulente, Federica Russo, Esperta di sostenibilità sociale e Co-Founder di Malegaleco e Giacomo Fabbri, Professore di Linguaggi Multimediali e Applicazioni Multimediali e Digital Director di Scomodo. A moderare il dibattito Federica Biffi, Specialista della Comunicazione e Co-Founder di Malegaleco.



La realtà virtuale è una realtà a tutti gli effetti?


Punto di partenza nel dialogo è il libro Più realtà di David Chalmers, filosofo della mente, il quale, dice Roberto Paura, è promotore dell’argomento della simulazione, ossia l’idea che la realtà virtuale sia tanto reale quanto quella fisica. Questa teoria, promossa da molti nella Silicon Valley e nelle aziende che producono oggi gran parte della tecnologia, implica la possibilità che il mondo in cui viviamo non sia necessariamente il piano fondamentale della realtà: potremmo noi stessɜ trovarci in una simulazione creata da una società più evoluta della nostra. Sotto la pressione delle innovazioni, l’umanità sta andando incontro a una rivoluzione copernicana del modo in cui viene concepita la realtà e dell’idea stessa di realtà che questo insieme di concetti promuove, applicabili anche a tecnologie, come l’Intelligenza Artificiale (AI).


Implicazioni etiche


Se con la filosofia di Chalmers ci spingiamo a immaginare realtà parallele plausibili e indistinguibili, prosegue Martina Todaro, con l'etica riusciamo a tornare coi piedi per terra. L'etica ci permette di distinguere ciò che riteniamo giusto e tangibile da ciò che è solo fumo negli occhi, una distrazione da ciò che è importante per individuo e società. Ed è immediato rendersi conto dei pericoli dei mondi virtuali se consideriamo che l'architettura di tali strutture relazionali poggia su un web che non risponde ai bisogni della collettività. "Se dovessi spiegare cos'è il web a un alieno" - specifica Todaro - "vorrei dirgli che è il luogo dove gli umani si incontrano, un forum, ma sarei costretta a specificare che somiglia di più a un banale mercato, agorà". In questo contesto operano gli algoritmi di Intelligenza Artificiale, agenti autonomi il cui scopo primario non è tanto quello di simulare il pensiero e il comportamento umano, come i potenti delle Big Tech che li controllano ci vogliono lasciare intendere, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, quello di predire e condizionare il pensiero e il comportamento degli utenti. Il fine è quello di intrecciare efficientemente la domanda e l'offerta, auspicabile, ma siamo finiti in una realtà in cui anche l'umano è valutato e riconosciuto meramente per le sue performance e sempre più frequentemente è usato nelle piattaforme come merce di scambio.


Che cosa del mondo reale abbiamo deciso di portare nel web?


Federica Russo racconta dell’esperimento che ha svolto durante la stesura della sua tesi di laurea magistrale in Sociologia, il cui scopo era capire se gli spazi virtuali fossero privi dei problemi che affliggono le persone marginalizzate nel mondo fisico. Durante le sue ricerche, ha chiesto a cinque persone con diverso background di creare un proprio avatar che interagisse in un Metaverso (uno spazio tridimensionale all’interno del quale le persone fisiche possono muoversi e interagire con altri avatar). È apparso subito evidente che il sistema valoriale, di giustizia, fisico e biologico era esattamente lo stesso del mondo offline: il Metaverso ricrea gli stessi meccanismi discriminatori del mondo reale e propone lo stesso sistema di valori della società occidentale in cui è stato creato.


Il mondo virtuale altro non è che una riproposizione del mondo fisico, conferma Roberto Paura, e le marcate disuguaglianze presenti online rispecchiano il progressivo aumento delle disuguaglianze nel mondo reale; allo stesso modo, il fatto che la tecnologia sia creata da pochɜ che detengono tutti gli strumenti e il potere di controllarli è espressione del trend di concentrazione della ricchezza - e dell’accentuazione del divario tra persone ricche e povere - che sta interessando la società negli ultimi decenni.


I mondi virtuali però, ci avverte Martina Todaro, sono mondi (dal latino mundus, ordinato, che segue un set di regole) che si distinguono da quelli reali per almeno una regola diversa. Potremmo approfittare delle proprietà del bit così diverse da quelle dell'atomo e della cellula, ma finiamo per cercare conforto nelle riproduzioni quanto più fedeli della realtà. Ad esempio attraverso tecnologie quali blockchain ed NFT reinseriamo la stretta correlazione tra valore e scarsità in un mondo che per sua natura è caratterizzato dall'abbondanza.




Quindi, che fare?


Una delle soluzioni proposte dallɜ speaker è la democratizzazione delle nuove tecnologie, cioè democratizzare la gestione della tecnologia: per evitare che le storture del mondo fisico siano riprodotte nel mondo digitale è importante che la tecnologia sia controllata da un sempre maggior numero di persone e che queste stabiliscano quali sono i fini per cui vogliono utilizzarle. Il compito dell’umanità, quindi, sarà riuscire a fare in modo che la tecnologia non determini il futuro a discapito della maggior parte delle persone.


Federica Russo porta anche, come possibile soluzione, l’esempio del critical computing di D. Fox Harrell, Professore di Digital Media & Artificial Intelligence al MIT. Harrel afferma, infatti, che nel momento della programmazione bisogna essere criticɜ e coscientɜ del fatto che i valori incorporati nelle strutture dei sistemi informatici da una parte influenzano lɜ utentɜ e possono manipolarlɜ e dell’altra possono anche servire a potenziare ed emancipare determinati gruppi sociali. Per fare ciò, bisogna comprendere meglio quali siano i valori incorporati nei sistemi informatici e progettare gli stessi con consapevolezza attraverso il critical computing. L'analisi e la progettazione di sistemi di calcolo che tengano in considerazione i valori che essi esprimono hanno la possibilità di catalizzare consapevolezza sociale e di responsabilizzare le persone per non subire la tecnologia ma co-crearla.


Giacomo Fabbri porta come possibile soluzione l’esperienza di Scomodo, realtà che diffonde informazione e cultura; nata nel 2015 come rivista cartacea, oggi ha deciso di sfruttare anche gli spazi digitali. Fondamentale, dice Giacomo, è mantenere come obiettivo primario il mondo fisico, utilizzando il digitale come strumento, facendo interagire i due poli in un continuum per creare esperienze a valore aggiunto e utilizzare questi spazi anche come attivatori di comunità.


Tra le opportunità di democratizzazione offerte dal digitale, precisa Fabbri, l’open source è una delle più importanti: la convinzione alla base è che il prodotto non debba essere nelle mani di - o scritto da - poche persone, ma continuamente modificabile e aggiornabile dal maggior numero possibile di utenti.


Quindi, la tecnologia di per sé non è né positiva né negativa, ma è importante avere consapevolezza del fatto che non è neutrale: finché sarà gestita da poche aziende private gli utenti non ne avranno il controllo, ma saranno lɜ controllatɜ. È necessario che la società e le istituzioni abbiano il timone di questi strumenti e che possano renderli spazi pubblici di decisione collettiva.


Alice Astrella

0 commenti

Comments


bottom of page