top of page
Immagine del redattoreDelfina Bucci

Il linguaggio dell’inclusione


La stesura di questo articolo nasce dalla presa di coscienza di come la lingua italiana sia poco inclusiva e dalla volontà di divulgare una lettura inerente all’argomento.


In un Ted Talk sul linguaggio dell’inclusione dal titolo Parlare la lingua dell'inclusione, l’esperta di comunicazione Alexa Pantanella spiega come il nostro codice linguistico, a seconda di come viene utilizzato, può veicolare messaggi diversi.


Alexa Pantanella, esperta di comunicazione, durante il Ted Talk "Parlare la lingua dell'inclusione"


Il linguaggio è la facoltà di attivare un processo di comunicazione tra due o più individui, che ci permette di costruire legami e creare connessioni ma, allo stesso modo, può creare barriere e incidere sul senso di appartenenza di qualcuno.


Spesso, senza pensarci troppo, quasi in automatico, parliamo tramite stereotipi e modi di dire: questo utilizzo inconsapevole del linguaggio può creare retaggi nella storia.


La lingua italiana è condizionata da un utilizzo predominante del genere maschile e questo potrebbe creare una certa disparità. Ma anche in casi di epiceno, un termine che in linguistica fa riferimento a un genere comune e che generalmente riconduce a parole che finiscono con la lettera “e”, si può creare disparità: questo è dovuto alla nostra percezione dei termini e alla cultura in cui siamo immersi.


Prendiamo ad esempio il termine “governante”: se preceduto da un articolo maschile “il” ci fa pensare a una persona che decide, dirige, governa, qualcuno con un ruolo di potere. Se la stessa parola è preceduta, invece, dall’equivalente articolo femminile “la” il nostro pensiero quasi certamente farà riferimento a una persona che appartiene all’ambito domestico o familiare.

È straordinario come lo stesso termine possa assumere un significato diverso in base al genere di articolo che viene preposto.


Consideriamo invece una parola che ha sia il femminile che il maschile, come “segretaria/o”: al maschile immaginiamo una persona che ha un ruolo di decisione o di direzione, ancora una volta un ruolo di potere. Diversamente, al femminile, la parola “segretaria” ci fa pensare a una persona che ricopre un ruolo di assistenza o di supporto ad altre persone.


Parallelamente abbiamo una serie di parole che declinate al femminile risultano essere bizzarre alle nostre orecchie, nonostante la loro esattezza grammaticale. Le parole “ingegnera” o “avvocata” suonano strane o assurde, nonostante la loro reale esistenza e correttezza. Eppure preferiamo utilizzare “avvocato” o “ingegnere” anche se ci riferiamo a una donna, poiché abituati da sempre al loro uso.


“È fondamentale chiamare le cose con il proprio nome poiché ne garantisce l’esistenza”, afferma Alexa Pantanella, fondatrice del Diversity & Inclusion Speaking.


E che termine dovremmo usare per le persone che non si riconoscono nel sistema di genere binario?


Così come le società evolvono e cambiano, allo stesso modo, dovrebbe cambiare anche il nostro linguaggio; pertanto dovremmo sforzarci di utilizzare un linguaggio che sia il più inclusivo possibile, uscire dai condizionamenti che abbiamo sempre respirato e abbracciare nuove forme di espressione.


Delfina Bucci



0 commenti

Comments


bottom of page