Con il termine cisnormatività si fa riferimento a una serie di stereotipi, convinzioni e norme sociali che prevedono l’identità cisgender come lo standard da seguire. Ne consegue, quindi, una bassa considerazione di tutto ciò che evade dal concetto di cisnormativo, arrivando a considerare innaturale e ripugnante tutto ciò che concerne l’esperienza della non conformità di genere.
Le persone trans*, quindi, deviando da quella che viene definita la “norma cisgender”, sono considerate come non conformi alla ‘normalità’ e quindi da ‘correggere’.
Quanto pesa, però, la cisnormatività sulle spalle e sulle vite delle persone trans*? La risposta è tanto semplice quanto drammatica: tantissimo, spesso così tanto da portare le stesse persone trans* a compiere scelte estreme o pericolose per la propria incolumità. Secondo i dati diffusi dall’associazione Acet (Associazione per la cultura e l'etica transgenere) sono 381 le vittime di transfobia solo nel 2022: più di una persona al giorno, con un aumento dell’8% dal 2019 a oggi (per questo è stato istituito il Transgeder day of remembrance).
Quando il passing diventa motivo di sofferenza
Per poter analizzare al meglio la questione credo sia necessario accennare a due termini importanti quanto controversi, ovvero il concetto del “passing” e il concetto del “corpo sbagliato”. Il concetto di passing - termine che deriva dall’inglese to pass - è utilizzato quando una persona transgender binaria, grazie alle caratteristiche fisiche e al suo abbigliamento, riesce a ‘passare’ e a essere considerata con il genere in cui si riconosce. Se da una parte il passing può essere un ottimo strumento per poter evitare discriminazione, misgendering (usando un linguaggio per riferirsi a una persona che non è adeguato al genere con cui si identifica) o deadnaming (riferendosi a una persona transgender usando il nome e il genere che le apparteneva prima del cambio di identità), dall’altra, troppo spesso, diviene motivo di grande sofferenza e di snaturamento delle identità e delle storie personali.
Si diffonde così, erroneamente e pericolosamente, a macchia d’olio la convinzione che le persone transgender abbiano come unico obiettivo quello di ‘diventare’ e ‘apparire’ come persone cisgender. Il passing diventa, quindi, una gabbia, un appiattimento dell’esperienza transgender che risulta a senso unico e che ‘schiaccia’ storie e vite in modo silenzioso. In questo modo si alimenta la cisnormatività, danneggiando, spesso, le giovani persone transgender (ma non solo), costrette a ricercare la propria identità e la propria espressione personale in un modello di riferimento monolitico e falsato.
Concatenato al concetto di passing vi è poi quello del “corpo sbagliato”. La falsa rappresentanza che si è venuta a creare sulle persone transgender, causata da una narrazione mainstream poco accurata e poco giusta, ha diffuso l’idea che le persone trans* siano nate in un corpo sbagliato. Questa narrazione, tossica e problematica, spinge le persone trans* in primis ad avere un rapporto di odio con il proprio corpo, cercando in tutti i modi di modificarlo, di liberarsene o nei casi peggiori di ferirlo o lesionarlo. In secondo luogo, considerando un corpo non conforme come un errore, le persone sono spinte ad avere una bassa considerazione di esso, giustificando così comportamenti violenti o transfobici. La soluzione che spesso viene considerata meno indolore dalle stesse persone transgender è quella di piegarsi ai dettami della cisnormatività, cercando in tutti i modi di apparire come una persona cisgender e di modificare il proprio corpo andando a eliminare qualsiasi traccia che possa far minimamente ricondurre alla propria transgenerità.
La cisnormatività, in conclusione, è deleteria per la transgenerità e per tutte le sfumature che l’identità di genere può (o potrebbe, se non venisse schiacciata!) avere. Liberarsi del suo fardello significherebbe, finalmente, potersi esprimere in tutta sincerità e in tutta libertà.
Elia Bonci
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