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Ludovica Bianchi, Federica Russo

Il processo di categorizzazione sociale

Ogni persona ha due identità. Infatti possiamo dire che ci sia una dialettica continua tra identità personale e identità sociale, che deriva dai gruppi di cui una persona fa parte e in cui si riconosce.

La nostra identità è in gran parte frutto della nostra cultura, intesa come insieme di significati condivisi tramite i quali le persone si rapportano al mondo: i processi psicologici sono fortemente influenzati e strutturati dalle interazioni sociali e in particolare dal contesto.


La categorizzazione sociale è un processo che le persone mettono in atto per facilitare la comprensione della complessità del mondo. Ragionare in termini di gruppi ci aiuta ad apprendere dei significati e attribuirli ‘in automatico’ alle persone appartenenti a quel gruppo ogni volta che ci si presenta la situazione.

Dalla categorizzazione sociale nascono gli stereotipi. Gli stereotipi agiscono fuori dal controllo delle persone, poiché sono strutture cognitive che abbiamo in memoria disponibili e sempre accessibili.

Ma lo stereotipo, di per sé, non è un male, anzi. Secondo Walter Lippmann, giornalista e politologo, lo stereotipo è una rappresentazione ordinata e più o meno consistente del mondo: esso infatti non richiede alla mente un continuo sforzo cognitivo.


Il nostro rapporto con l’altro si articola quindi su tre dimensioni:

  1. una dimensione cognitiva: in cui agisce lo stereotipo: cosa ne so a riguardo?

  2. una dimensione affettiva: che emozioni suscita in me?

  3. una dimensione comportamentale: come mi comporto?


È nella terza dimensione che si può generare la discriminazione, ed è così che, da uno stereotipo, nasce un pregiudizio.

Il pregiudizio è quindi un atteggiamento, una predisposizione verso una persona o più che nasce dall’esperienza diretta personale o mediata dal proprio gruppo di appartenenza.


Nell’arco di millesimi di secondo il nostro cervello è in grado di dare una valutazione su chi abbiamo davanti, perché, come risposta adattiva dell'uomo, è sempre stato fondamentale capire immediatamente se chi abbiamo di fronte rappresenta una minaccia oppure no.


Ma questo processo di attribuzione potrebbe farci arrivare a conclusioni sbagliate sugli altri quando il nostro cervello sfrutta delle scorciatoie cognitive, tra cui gli stereotipi, attribuendo a una persona le caratteristiche del gruppo con cui lo abbiamo identificato: ciò significa dare maggiore rilevanza all’identità sociale di quella persona, rispetto all’identità personale.

Questa è una distorsione cognitiva dello stereotipo chiamata bias, che viene messa in atto quando si hanno poche informazioni a disposizione commettendo degli errori di attribuzione.


Appartenere a un gruppo, soprattutto quando è maggioritario o dominante, dà vita a una reazione affettivo-valutativa negativa nei confronti dell’outgroup che ne fa derivare la superiorità del proprio modello. A questa reazione segue il pregiudizio che può assumere forma verbale, comportamentale e fisiologica.

Il fenomeno definito ingroup bias è la tendenza delle persone ad attribuire caratteristiche positive e più favorevoli al proprio gruppo ingroup e caratteristiche opposte, o meno favorevoli, al gruppo con cui ci si confronta outgroup.

Le persone tendono a controllare le proprie reazioni spontanee, soprattutto in base al grado di desiderabilità sociale e al contesto. Infatti, per esempio, oggi è più raro sentire frasi o espressioni apertamente razziste, tuttavia ci troviamo spesso davanti a reazioni affettive spontanee di tipo negativo verso l’outgroup quando su un bus si sceglie il posto più vicino a un membro del proprio ingroup e più lontano dall’outgroup.


I confini dell’ingroup e dell’outgroup non sono sempre definiti ma dipendono dal gruppo con cui ci identifichiamo in quel momento: il gruppo classe, il gruppo famiglia, il gruppo italianə, il gruppo donne, il gruppo juve e così via.

Ciò viene definito come salienza o rilevanza della categoria sociale in un determinato contesto. Per esempio, due colleghi possono appartenere allo stesso ingroup sul lavoro ma, se i loro figli praticano sport e giocano in due squadre opposte, faranno parte dei rispettivi outgroup.


Abbiamo visto come l’appartenenza a un gruppo e la categorizzazione sociale non sono di per sé la causa delle discriminazioni, ma lo è la nostra reazione quando ci rapportiamo con qualcuno al di fuori del nostro ingroup.

Capire come funziona il processo di categorizzazione sociale e come agiscono gli stereotipi e i pregiudizi è fondamentale per essere più vigili e consapevoli quando ci rapportiamo con l'altrə.


Ludovica Bianchi, Federica Russo



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