“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, diceva Voltaire.
Pensando allo stato di marginalità, esclusione e precarietà in cui lз lavoratorз stagionali si trovano in molte parti del mondo, tuttavia, non sarebbe sbagliato dire che il grado di civiltà di un paese si misura anche osservando le condizioni della sua forza lavoro stagionale (il più delle volte migrante).
Tra il 1945 e il 1970 emigrarono dall’Italia in Svizzera più di due milioni di persone, provenienti principalmente dal nord Italia, dalla Campania, Puglia e Sicilia. All’epoca - e fino a tempi spaventosamente recenti - la legge svizzera in materia di lavoro stagionale non prevedeva il ricongiungimento familiare. Chi si spostava in Svizzera per nove mesi, quindi, non poteva portare con sé la propria famiglia.
Capitava spesso che fossero entrambз lз coniugi ad avere contratti stagionali in Svizzera e che quindi, nel caso avessero avuto figlз, non potevano portarlз con sé oltre la frontiera (o almeno non in modo permanente). In questi casi, tra le soluzioni a cui si ricorreva c’era: il lasciarlз a casa di parenti nei paesi d’origine, collocarlз in istituti per minori nei luoghi d’origine o in città di frontiera (uno dei più noti è “La casa del fanciullo” di Domodossola, noto per i metodi violenti utilizzati dal personale ecclesiastico), oppure portarlз irregolarmente con sé in Svizzera.
La conseguenza, e grande paradosso umano, era che nella maggior parte dei casi le famiglie venivano divise, spezzate, dislocate in punti geografici diversi. Il motivo di tali sventramenti? Il fatto che la Svizzera mirava a capitalizzare il più possibile sulla manodopera stagionale migrante, riducendo al minimo estremo i costi sociali (come l’istruzione, gli alloggi, l’assistenza sanitaria e altri servizi e infrastrutture). Si trattenevano nel paese solo quelle persone che potevano contribuire attivamente all’economia svizzera in crescita.
“Voglio le braccia di tuo padre e di tua madre ma a te non ti voglio. Un calcio nel didietro e ritorna da dove sei venuto” (Non far rumore)
Il valore dellз migranti italianз si misurava così dalla produttività dei loro corpi, impiegati soprattutto nei settori edile, agricolo e alberghiero. In una visione dove lз migranti italianз sono corpi che servono esclusivamente all’economia e non persone che abitano la società, famiglia e figlз non hanno spazio.
“I bambini non ci dovevano essere. I bambini non avevano un contratto di lavoro” (Non far rumore)
Sono stimatз essere 50 mila lз bambinз che tra il 1945 e il 1975 hanno vissuto illegalmente in Svizzera a causa della legge che impediva loro di ricongiungersi con la propria famiglia. Secondo lз ricercatorз dell’Università di Ginevra, la cifra sale a 500 mila se contiamo anche lз altrз bambinз italianз figlз di stagionali che, seppur con diverse modalità, si sono ugualmente vistз rubare l’infanzia (e.g. lз cosiddettз “orfanз di frontiera”).
Quellз che riuscivano a entrare in modo irregolare in Svizzera, lo facevano nascostз nei bagagliai delle auto o sotto le ampie gonne delle donne quando viaggiavano in treno. Vivevano nascostз nel segreto della casa, senza la possibilità di andare a scuola, giocare, socializzare con altrз bambinз, o anche solo uscire all’aria aperta.
L’imperativo era uno: non fare rumore. Erano obbligatз a essere persone silenziose e discrete: non dovevano esistere. Se avessero parlato troppo forte, urlato, cantato, pianto o riso troppo forte, se si fossero affacciatз alla finestra, se avessero sbattuto i piedi sul pavimento, spostato sedie o inavvertitamente fatto cadere oggetti, lз abitanti del palazzo lз avrebbero sentitз e c’era il rischio che si insospettissero.
“Era un dogma quello di stare zitta, di non fare rumore, di non esistere.” (Non far rumore)
La pena, nel caso in cui venissero scopertз – e se fossero scaduti i sei mesi previsti dal permesso turistico – era un decreto di espulsione. Il paradosso (uno dei tanti in questa faccenda) è che l’espulsione non si applicava all’intera famiglia, ma allǝ singolǝ minore, che la Fremdenpolizei (letteralmente la “polizia dellз stranierз”) si sarebbe personalmente occupata di rimuovere dal territorio svizzero.
“Queste cose sono state scritte da persone umane. Come puoi scrivere una legge contro un bambino?” (Non far rumore)
Il docufilm Non far rumore prodotto nel 2019 da Alessandra Rossi racconta questo capitolo doloroso della storia italiana e svizzera e a parlare sono proprio quellз bambinз che, ormai adultз, testimoniano di cosa abbia significato per loro vivere da enfants de l’ombre. Parlano delle ripercussioni negative che il loro passato ha avuto sulla loro vita adulta: a distanza di 50 anni, a qualcunǝ di loro “non piace gridare o la gente che grida”. Qualcunǝ, invece, pur comprendendo le motivazioni economiche che hanno spinto lз genitorз a privarlз della loro infanzia, ancora oggi non riescono a perdonarlз. Moltз bambinз che hanno avuto un’esperienza di questo tipo ne hanno profondamente risentito una volta che, regolarizzatз, hanno iniziato la scuola dopo diversi anni di scolarizzazione discontinua o inesistente. Oltre alle discriminazioni razziste a cui venivano sottopostз dallз compagnз in quanto di origini italiane (sì, perché fino a ieri eravamo noi lз stranierз che “rubavano il lavoro”), si riscontravano difficoltà sia a livello di apprendimento che di socializzazione con lз pari. Altre conseguenze si sono manifestate nel successivo inserimento lavorativo, lungo e faticoso, altre in disturbi psicologici e difficoltà affettive.
“Mi hanno rubato l’infanzia, l’adolescenza, tutto.” (Non far rumore)
Lo statuto dellǝ lavoratorǝ stagionale venne abolito nel 2002, in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Schengen, l’accordo che permette la libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l'Unione Europea, e alla pressione internazionale esercitata in quegli anni sulla Svizzera affinché ratificasse documenti fondamentali come la Convenzione sui diritti dellǝ bambinǝ.
La vicenda dellз bambinз che molte persone addette ai lavori si spingono a chiamare “clandestinз” costituisce una delle pagine più oscure e meno discusse dell’emigrazione italiana in Svizzera.
Conoscere questa vicenda e contestualizzarla all’interno di un discorso più ampio che riguarda la gestione dell’immigrazione da parte di uno stato è fondamentale per vari motivi.
Da un lato, ci aiuta a rimettere in prospettiva la concezione che si ha delle persone migranti all’interno del paese in cui emigrano. Fino a poco tempo fa erano lз italianз a essere popolo in movimento, alla ricerca di condizioni di vita migliori all’estero, non solo in Svizzera ma anche negli Stati Uniti, Argentina, Brasile. Venivamo “accoltз” da pregiudizio, precarietà e xenofobia, lo stesso trattamento che oggi ancora troppe persone riservano a chi decide di perseguire una vita migliore in Italia. Dall’altro lato, è bene essere consapevoli degli interessi particolari e delle volontà politiche che esistono dietro certe politiche migratorie. Nel caso dellз bambinз nascostз, sia il governo svizzero che italiano hanno dato priorità al tornaconto economico che lo statuto di lavoro stagionale avrebbe portato alle rispettive casse statali: in termini di crescita del PIL e risparmio sulle spese sociali per la Svizzera, e in termini di ingenti rimesse dall’estero per l’Italia.
In quale dei due casi l’interesse dell’ individuǝ, delle famiglie e soprattutto dellз minori è stato messo al primo posto?
Nessuno.
Per approfondire il tema della migrazione italiana in Svizzera, compresa la vicenda dellз bambinз nascostз, consigliamo la lettura delle opere di Toni Ricciardi, storico delle migrazioni all’Università di Ginevra e specialista di riferimento sulla questione dellз bambinз figlз di stagionali.
Elena Pagnoni
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