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  • Immagine del redattoreGiorgia Vergani

La maglieria è ancora uno strumento patriarcale?

Premessa: il progetto descritto verte sui cambiamenti culturali e sociali fondanti la percezione della maglieria nel mondo occidentale e si analizza quest’arte a partire dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Il background culturale di partenza è prettamente al maschile e inteso come patriarcale; tuttavia, la maglieria non appare esplicitamente legata ai ruoli tradizionali dell’uomo e della donna categoricamente concepiti sia nella sfera sociale che in quella privata.


La pratica della maglieria in età moderna, cioè dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, si sedimenta nell’ambito familiare, che durante la guerra era centrato sulla figura femminile. Lo scenario dell’epoca è quello della moglie angosciata che aspetta a casa il marito al fronte e allo stesso tempo l’unico elemento attivo all’interno del nucleo familiare.


Durante gli anni della guerra nascono movimenti simili tra di loro, come il Knitting for Victory in Inghilterra; negli Stati Uniti Eleanor Roosevelt si mostra in pubblico facendo la maglia. L’obiettivo è cercare di coinvolgere le mogli a intraprendere questa pratica in supporto dei mariti al fronte.


Dopo la guerra, la maglieria rimane un elemento prettamente femminile, fino alla nascita della terza ondata del movimento femminista degli anni ‘90 che si ribella a questo binomio donna-maglieria, considerato un tool of patriarchy (uno strumento patriarcale) (Jo Turney, 2010, “Spinning Straw into Gold: The ‘New’ Woman in Contemporary Knit Lit”, pag 41, In the Loop - Knitting now by Jessica Hammings).

Quindi si esplicita soprattutto in Inghilterra un profondo rifiuto nell’intraprendere pratiche manuali di questo tipo.


Proseguendo nella storia, sempre all’interno della sfera geografica occidentale, si trovano risposte ora analoghe, ora differenti a questa evoluzione della concezione della maglieria. Negli anni ‘80 quest’arte viene ripresa coinvolgendo anche gli uomini, i quali iniziano a lavorare con i ferri da maglia ovunque si trovino, sollevando sempre grande stupore perché ciò andava contro la concezione antica del ruolo dell’uomo nella società. Una società ancora sostanzialmente patriarcale nonostante le rivoluzioni del ‘68 e le rivendicazioni femministe.


La maglieria successivamente diventa, soprattutto in Italia, largamente industrializzata, giungendo a essere poi elemento di distinzione della cultura estetica, stilistica e della moda di questo Paese, passando varie fasi di innovazione, anche come vediamo più recentemente di gender fluid.


L’evoluzione della pratica della maglieria è, a livello sociologico, molto concettuale, in quanto a cambiare è la concezione di quest’arte che passa da pratica obbligata, non-remunerata e quindi segregativa nella società patriarcale, a motivo di unione tra persone diverse, come attestano le recenti testimonianze di gruppi di persone che scelgono il lavoro a maglia come pratica terapeutica e di liberazione.


Questo descritto è il progetto di laurea svolto durante il corso di specializzazione in Design del Tessuto, Maglieria, presso il Chelsea College of Arts di Londra. La passione per la maglieria e quella per i fashion studies sono nate durante il triennio in Design della Moda presso lo IUAV di Venezia nel 2018. Da allora progetto e sviluppo capi di abbigliamento di maglieria.


A livello creativo l’ispirazione è arrivata da movimenti vicini al femminismo e da tutti quellз artistз che hanno deciso di narrare la propria storia al femminile in un mondo maschile.


Ho utilizzato la lana, un filato antico che veniva dal lontano legame con la tradizione e la sostenibilità.


Louise Nevelson, Georgia O’Keeffe, Barbara Hepworth, Miriam Schapiro, Judy Chicago, Yoko Ono, Carolee Schneemann, Lygia Clark, Lygia Pape, Helio Oiticica, Louise Bourgeois, The Guerrilla Girls, Rosemarie Trockel, Barbara Kruger, Jenny Holzer, the Feminist Art Movement, Hanna Wilke, Joanna Vasconcelos, Tracey Emin…

Questi sono alcuni dei nomi utilizzati come fonte ispirazionale. Mi sono rivolta a un ampio raggio di artistз che hanno cercato di rappresentare in maniera visiva e creativa quella che Susan Bassnett, teorica di traduzione e studiosa di letteratura comparata, definì “The common ground that women [..] share is the no-woman’s land of their female existence” (Susan Bassnett, 1986, “Feminist experiences, the women’s movement in four cultures”, ed. Allen & Unwin).

Altro elemento importante nel mio gesto creativo è il ruolo del colore: in questo caso, sono partita dalla concezione stereotipata del colore rosa per arrivare alla sua forma originaria in rosso. Il suo significato visivo viene collegato alla percezione della femminilità nel background concettuale citato precedentemente.

Il progetto ha un esito anche pratico che ha visto la realizzazione di un capo che mostra tutti gli aspetti del progetto: il background concettuale patriarcale segregativo, l’evoluzione tecnica della pratica (uncinetto, ferri, macchinari domestici e industriali) e il mio commento personale e finale su questa indagine.





Mi piacerebbe in parte citare, concludendo, l’artista americana Sabrina Gschwandtner, quando spiega che il modulo interpretativo comune denominatore di tutte le arti è la maglieria (Sabrina Gschwandtner, “Statement of practice: Knitting is...”, Journal of Modern Craft, volume1, issue2, July 2008:271).


Giorgia Vergani


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