Sense8 è un dramma di fantascienza creato da Lana e Lilly Wachowski. La serie parla di otto persone, sparse per il mondo, che scoprono di essere collegate psichicamente. Sono nati lo stesso giorno e alla stessa ora, il che significa che appartengono alla stessa "madre". Di conseguenza, formano ciò che è noto come “cluster”. I sensate appartengono a una specie postumana chiamata "Homo sensorium" e possono condividere sentimenti ed emozioni, capacità fisiche e cognitive.
Perché ne stiamo ancora parlando se è uscito ben cinque anni fa? Ovviamente il mondo dell’internet si è già dimenticato della sua esistenza, ma noi no. Perché tra i sensate di questo cluster troviamo Nomi. Nomi è una donna trans ed è fidanzata con Amanita Caplan, una donna nera bisessuale nata in una famiglia poliamorosa. La radicalità di questa rappresentazione risuona ancora oggi, forse in modo ancora più forte, nei tessuti delle battaglie della comunità Lgbtqia+.
Uno dei momenti più iconici di questa coppia rivoluzionaria è la loro prima scena: le ritrae nude, colte durante l’atto sessuale. Amanita è sopra Nomi e indossa un dildo arcobaleno che fa poi cadere a terra augurando un felice pride alla sua compagna. Questa scena è interessante da numerosi punti di vista. Innanzitutto, va subito a mostrare l’elefante nella stanza: quando si parla di persone trans, e soprattutto della loro vita sessuale, la curiosità cisgender vola subito verso questi corpi alieni. Così, le sorelle Wachowski, loro stesse donne trans, tarpano subito le ali a questo fascino mostrando la nudità di Nomi senza nascondere niente.
La scena ribalta anche due schemi di potere fondamentali per la società occidentale; infatti, mette una donna afro-discendente nella posizione di potere rispetto alla donna bianca e, contemporaneamente, priva quest’ultima del primato del fallo, inteso come l’elemento di differenziazione che posiziona l’individuo nella Classe di privilegio: l’uomo cisgender bianco eterosessuale abile. Ovviamente, anche in questa rappresentazione possiamo riscontrare alcune problematiche: ad esempio, le donne rappresentante sono magre e femminili, quindi rispondono perfettamente ai canoni di bellezza occidentali; oltretutto, non viene mai mostrato un nudo integrale di Nomi, lasciando allo spettatore la possibilità di immaginare un corpo cis o medicalizzato.
Inoltre, Amanita sembra diventare la fedele assistente della donna bianca, mettendo sempre la vita e i bisogni di Nomi davanti ai suoi. Mentre gli spettatori sono invitati nella vita della sua compagna come donna trans, ma non sono obbligati a riconoscere il colore della pelle delle due e come questo modelli la loro relazione. Per di più, non c'è niente di intrinsecamente rivoluzionario nell'orgasmo lesbico, anche se il piacere lesbico non è costruito in una zona libera dall'eteropatriarcato. Godere di scene di sesso che mettono in immaginari di lotte di potere può riflettere la misura della nostra complicità nell'oppressione, nostra e di altri, ma il problema è più la celebrazione acritica di queste rappresentazioni.
Quindi, per quante criticità possiamo riscontrare in questa scena che va a rinforzare le dinamiche ciseteropatriarcali attraverso la rappresentazione di quello che viene definito il “vero” atto sessuale, cioè la penetrazione, è anche una visione profondamente radicale che esclude totalmente l’uomo dalla narrazione e, nelle forme in cui viene incluso, cioè la mera presenza di un fallo, peraltro arcobaleno, è comunque spogliato di tutto ciò che è stereotipicamente.
Il canto del cigno: scrivere per un’audience queer
Nella visione di questa serie tv un dato diventa sempre più evidente: il suo spirito intrinsecamente queer. Ciò che rende questa coppia particolarmente apprezzata dal pubblico queer non risiede nell’esplicito che caratterizza la vita sessuale del cluster, ma è piuttosto consolidato dalla loro intimità emotiva. Ad esempio, in un’altra scena emblematica Amanita difende Nomi in uno scambio transfobico durante uno dei loro primi Pride insieme. Questa scena non è destinata a nessun altro che a un pubblico queer. È un momento così dolce e tenero, carico di affetto e intimità tra due donne che si amano così ferocemente, in una situazione che il pubblico eterosessuale/cis non potrebbe mai vivere.
La serie è colma di riferimenti alla comunità Lgbtqia+, da bandiere arcobaleno che sventolano in ogni angolo delle città a grandiose parate Pride, ma un monologo di Nomi rimane chiaramente impresso nella mente dello spettatore. La donna ha un passato da hack-tivista, cioè portava avanti attacchi di hackeraggio politico, ed è rimasta attiva sul suo blog come attivista. Il giorno della parata carica un video in cui recita le parole: “[...] Oggi sto marciando per quella parte di me che aveva troppa paura di marciare. E per tutte le persone che non possono marciare. [...] Oggi, io marcio per ricordare che Io non sono solo Me. Sono anche un Noi. Noi marciamo con orgoglio.”
Sense8 è passato alla storia come una delle migliori rappresentazioni saffiche anche perché non segue il tropo della “lesbian death syndrome”. Secondo questo paradigma cinematografico, una delle donne coinvolte nella relazione omosessuale muore, spesso in circostanze tragiche. Basti pensare alla terribile morte di Lexa in The 100 solo un minuto dopo aver finalmente baciato Clarke o, ancora, a Poussey, brutalmente uccisa in Orange is the New Black per essere lesbica, nera e in una relazione nonostante il carcere.
Invece, la serie si conclude, nel film Amor Vincit Omnia, con il matrimonio delle due sopra la Torre Eiffel. Nomi riesce a mantenere la promessa di sposare Amanita a Parigi, ma, soprattutto, sua madre la riconosce finalmente come sua figlia e la chiama Nomi per la prima volta. Il matrimonio è tutt’altro che convenzionale, nonostante sia il simbolo per eccellenza del patriarcato. È officiato da una donna e non ci sono vestiti da sposa, ma solo le eccentriche personalità delle due donne. Amanita viene accompagnata all’altare dai suoi tre padri e da sua madre, mentre Nomi viene portata da Bug, suo collega ma soprattutto sua famiglia scelta, altro aspetto di fondamentale importanza nella comunità queer.
La sfida per le scrittrici lesbiche non è solo produrre immagini che ci eccitino o che 'invertano' i codici sessuali maschili tradizionali, piuttosto, vorremmo vedere l'invenzione di nuovi modi di esplorare la sessualità, che sfidino e decostruiscano. Kitzinger J. e Kitzinger C. (1993, p. 12) suggeriscono anche la possibilità che adesso la ricerca dell'erotismo lesbico non sia la più urgente delle lotte e che il cambiamento delle condizioni politiche e sociali entro le quali si producono le immagini sia un prerequisito essenziale per crearne di più liberatorie.
Quando Nomi dice di non essere solo sé, ma anche un Noi più grande, è sì un fore-shadowing del suo essere una sensate, ma è anche un invito all’audience a marciare con orgoglio, a scendere in piazza, ad amare e attraversare lo spazio liberamente.
Quindi, anche se le sorelle Wachowski non erano dichiarate come donne trans e lesbiche quando uscì Bound, è evidente che stessero cercando di ritrarre ciò che hanno poi concluso in Sense8: un'intimità tra due donne che ha lo scopo principale (e in alcuni casi, esclusivo) di essere riconoscibile dalle donne omosessuali. Sense8 diventa il loro canto del cigno queer, in cui possono raccontare liberamente le loro esperienze trans e queer sullo schermo senza alcuna preoccupazione di dover accontentare la folla cis ed etero.
R. Bellucci
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