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  • Immagine del redattoreDelfina Bucci

La transizione dell'Italia da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione

L’Italia, uno dei principali Paesi di emigrazione del continente europeo, inizia dalla fine degli anni 70 a registrare un ‘fenomeno nuovo’: l’arrivo di migranti dall’estero. L’emigrazione, in Italia, ha rappresentato quel fenomeno sociale che ha contribuito, forse più di ogni altro, ai cambiamenti sociali. Tra l’Ottocento e il Novecento circa 27 milioni di persone italiane hanno attraversato il mondo. Le partenze hanno rappresentato per queste ultime il modo più efficace e diretto per migliorare le proprie condizioni di vita. Non meno rilevanti sono stati i flussi interni all’Italia, che hanno permesso al Paese di disegnare la propria geografia umana. Le migrazioni interne e verso l’estero del Paese hanno quindi accompagnato l’evoluzione dello stato, influenzandone i cambiamenti strutturali.


Il 1971 è l’ultimo anno in cui l’Italia registra un saldo migratorio negativo: da Paese di emigrazione con circa 27 milioni di espatri e 11/13 milioni di rimpatri, registra, per la prima volta, un saldo migratorio positivo. Il cambio di segno è da attribuire soprattutto all’azione congiunta di differenti fattori: tra cui, primo fra tutti l’aumento del PIL pro capite italiano e in seguito i persistenti bassi tassi di fecondità. Dalla forte crescita economica italiana conseguita tra il 1950 e il 1970 emerge progressivamente una domanda italiana di persone lavoratrici migranti. A conferma di ciò i primi flussi migratori si contraddistinguono per le persone lavoratrici provenienti dal cosiddetto “Sud del mondo”.


La storia dell’immigrazione in Italia si può suddividere in tre fasi differenti. La prima fase fu caratterizzata dai primi flussi degli anni 70 del Novecento, i quali si inseriscono in un contesto caratterizzato da una sostanziale carenza legislativa da parte del nostro Paese. Tale carenza non riguardava solamente l’Italia ma era tipica, in questa fase, di tutti quei Paesi dell’Unione Europea che stavano sperimentando il passaggio da Paese di emigrazione a Paese d’immigrazione. Con la fase successiva, che copre i 18 anni seguenti, si intensificano sia i flussi (crescono le iscrizioni per il trasferimento di residenza dall’estero) sia la presenza di persone straniere nel nostro Paese. Nel 1978, il Ministero dell’Interno registrò la presenza di circa 191.328 di persone straniere in Italia (fig 1.1).


Figura 1.1 Stranieri in Italia (valori in migliaia), anni 1978-1981, Italia.

Fonte: Elaborazione propria su dati Istat


Il quadro normativo italiano in materia di immigrazione

Fino alla fine degli anni 80 del Novecento e l’inizio del periodo successivo, nello specifico tra il 1985 e il 1990, le iscrizioni di cittadinɜ stranierɜ registrano un significativo aumento, pari alle 50mila e alle 100mila unità e la presenza di persone straniere nel nostro Paese diviene un elemento strutturale della popolazione negli anni 90 del Novecento. Di fronte a tale aumento, nel 1986, viene introdotta la prima legge organica in materia, la n. 943, meglio nota come Legge Foschi che “chiudeva” ufficialmente la fase di transizione dell’Italia da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. Questo primo provvedimento dà finalmente alla materia, precedentemente regolata da circolari ministeriali, un riferimento complessivo. Viene introdotto sia il ricongiungimento familiare, una procedura che consente allɜ rifugiatɜ di ricongiungersi nel Paese di destinazione con i membri più stretti della propria famiglia e una sanatoria che regolarizzò 120 mila persone provenienti dall’estero. Alla scadenza della medesima, viene emanato un nuovo Decreto legge, convertito nella legge n. 39 del 1990, meglio conosciuta come Legge Martelli. Grazie alla nuova Legge si cerca di dare una veste maggiormente stabile alla normativa, affrontando differenti problemi come: la situazione delle persone rifugiate, il riordino in materia di ingresso, il permesso di soggiorno per lavoro autonomo, i visti e il respingimento alla frontiera. La legge cerca sia di introdurre una programmazione dei flussi d’ingresso, attraverso l’obbligo di visto e le quote di lavoratorɜ extracomunitarɜ, sia di costituire una sanatoria per quelli che si trovavano già nel territorio italiano. Negli anni 90 del Novecento, il fenomeno migratorio acquisisce per la prima volta un largo spazio sulla scena politica. Nel giugno del 1990, ha luogo la prima Conferenza nazionale sull’immigrazione, che rappresenta: “un atto di coraggio e lungimiranza di una nazione che prende coscienza di essere divenuta Paese d'immigrazione mettendosi alla ricerca di sentieri percorribili per una convivenza sociale ed una integrazione attiva tra italianɜ ed immigratɜ”.


La Conferenza si considera come la prima grande occasione di analisi della situazione dell’immigrazione in Italia. Nel medesimo anno, a livello europeo venne firmata la Convenzione di Dublino, la quale ha come primo obiettivo quello di armonizzare le politiche per le persone rifugiate nei Paesi europei. Dal punto di vista internazionale, il 1990 rappresenta l’anno in cui l’Italia entrava a pieno titolo nella programmazione europea della politica migratoria. I primi anni 90 del Novecento sono ugualmente gli anni in cui le iscrizioni per il trasferimento di residenza delɜ cittadinɜ stranierɜ registrano un significativo aumento rispetto agli anni precedenti, un trend che si conferma oltremodo con l’avvento degli anni 2.000. Nel 1995 le iscrizioni erano pari alle 68mila unità per giungere alle 192mila unità nel 2000 (fig. 1.2).


Figura 1.2 Cittadini stranieri iscritti per trasferimento di residenza dall’estero (valori in migliaia), anni 1995-2000, Italia

Fonte: elaborazione propria su dati Istat


Rispetto alle aree d’origine delɜ iscrittɜ per trasferimento di residenza nei primi anni 90, la quota rappresentata dell’Europa (soprattutto Francia e Germania) è quella di gran lunga più consistente, seguiva la quota dall’Africa (soprattutto Marocco e Tunisia), Asia ed America (tab. 1.1). La crescita di determinate aree di provenienza come quelle dell’Europa centro-orientale (come, Albania, Romania, Ucraina e Bulgaria) risente sicuramente del contesto politico sociale, infatti nel 1996 queste ultime cominciano a crescere in maniera significativa per diventare nel 2006, grazie anche all’allargamento dell’Unione Europea, l’area di principale provenienza dei flussi migratori.


Tabella 1.1 Iscritti per trasferimento di residenza dall’estero, per paese di cittadinanza, anni 1995, 2005, 2015, Italia.

Fonte: elaborazione propria su dati Demo Istat


Allo stesso modo gli inizi degli anni 90 sono anche gli anni in cui si verifica in Italia il primo sbarco di profughɜ provenienti dall’Albania. Questo evento mette in luce i punti fragili sia della Legge Martelli sia del sistema italiano che, deve fronteggiare il problema delle migrazioni irregolari. Di fronte a tale fenomeno la politica italiana assume un atteggiamento generalmente positivo e per evitare una concentrazione di persone migranti nel Sud dell’Italia, decide di distribuirle in tutto il paese. Con l’aumentare degli sbarchi, il periodo della politica solidale comincia a cedere il passo alla paura di non essere più in grado di controllare la situazione e pertanto il governo italiano assume nei confronti della migrazione irregolare un atteggiamento meno tollerante. La risposta al fenomeno giunge nel 1995, con il Decreto Dini. A causa della mancata conversione di quest’ultimo in legge, fu emanata nel 1998, una nuova Legge, meglio nota come Legge Turco – Napolitano, la prima Legge organica sull’immigrazione. Con la suddetta Legge si segnò la presa di consapevolezza da parte del potere politico e della stessa società italiana, dell’ormai completa configurazione dell’Italia come Paese di immigrazione. La Legge Turco – Napolitano si basa principalmente sulla necessità di controllare i flussi migratori e sostenere maggiormente i processi d’integrazione; per la prima volta una legge si poneva il problema di modulare uno schema di riferimento su cui si potesse costruire e ancorare la regolamentazione di diversi aspetti e fasi del processo migratorio. Alla luce di questi obiettivi vengono introdotte importanti novità, fra cui la carta di soggiorno e la figura dello sponsor, garante dell’inserimento di una persona migrante a cui venivano offerte una serie di garanzie. In tema di controllo, furono potenziati sia il coordinamento della gestione dei flussi sia il controllo alle frontiere e seguì un inasprimento delle pene per chi favoriva l’immigrazione clandestina. La legge istituisce per la prima volta i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), prevede un'estensione dei diritti di cittadinanza per le persone straniere e infine semplifica il processo di espulsione. La Legge principalmente segue le linee di tendenza che caratterizzano le politiche adottate in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea. Fu infatti riservata una grande attenzione all’immigrazione irregolare, attraverso sia il controllo lungo le coste italiane sia la regolamentazione degli ingressi e dei soggiorni delle persone straniere. Ciò nonostante, nel 1999, a seguito dello scoppio del conflitto in Kosovo, si apre una nuova corrente migratoria clandestina verso l’Italia. Circa 30mila profughɜ kosovarɜ, serbɜ e montenegrinɜ giunsero lungo le coste dell’Italia. Con questo nuovo esodo, viene messa in luce la criticità del sistema di accoglienza italiano, della rispettiva legge e si inaspriscono i toni della politica italiana. In tema di politica migratoria, l’intervento più importante si presenta con la legge n.189 del 2002, conosciuta meglio come legge Bossi – Fini. Con l’avvento degli anni 2000, continuano a crescere in maniera significativa le iscrizioni dall’estero; in particolare, il biennio 2003-2004 registra 600mila iscrizioni e scende alle 242mila iscrizioni nel 2006, raggiungendo il massimo nel 2007 con balzi a 490mila in seguito all’ingresso della Romania nell’Unione Europea (fig. 1.3).


Figura 1.3 Cittadini stranieri iscritti per trasferimento di residenza dall’estero (valori in migliaia), anni 2001-2010, Italia

Fonte: elaborazione propria su dati Istat


Se gli anni 90 sono prettamente caratterizzati da un processo di consolidamento dell’immigrazione straniera, i primi anni 2000 si possono inquadrare come la fase nella quale la presenza straniera assume dimensioni prossime a quelle già esistenti in altri Paesi europei, come Francia, Germania e Gran Bretagna. La popolazione straniera nei primi anni 2000 (tra il 2001 e il 2006) raddoppia, da 1.334.889 passa a 2.670.51, per triplicare nel 2009. Al 1° gennaio 2011, la popolazione straniera supera i 4 milioni e mezzo e l’Istat registra 4.570.317 persone di cittadinanza straniera. I primi anni 2000 vedono non solamente la crescita dell’immigrazione regolare, ma anche l’aumento degli sbarchi provenienti dal Mediterraneo, soprattutto verso Lampedusa e Pantelleria, sopraggiunti dalla Libia e dalla Tunisia. In virtù di ciò, la Legge Bossi - Fini segna l’avvio di una nuova fase per la storia dell’immigrazione in Italia, orientata a un approccio maggiormente restrittivo. Si vuole comunicare un messaggio di rigidità e chiusura rispetto alle politiche migratorie. La legge Bossi – Fini si muove in continuità con la precedente legge Turco – Napolitano, intervenendo in alcuni punti con l’obiettivo di rendere sia la presenza straniera più precaria e meno protetta dalle tutele sociali sia scoraggiare l’immigrazione clandestina, attraverso l’aumento della pena detentiva per l’ingresso illegale. La legge rafforza e generalizza sia il controllo delle persone immigrate regolari, rendendo maggiormente complesse le procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno, con lo scopo di disincentivare l’immigrazione e la stabilizzazione sia l’espulsione con accompagnamento alla frontiera.


Nel 2006, il governo di centro-sinistra con a capo Romano Prodi, decide di adottare una politica attiva, in merito alla questione flussi, adottando il Decreto flussi (un “provvedimento-ponte” che migliorava le modalità di presentazione della domanda di assunzione, evitando così ritardi e disagi). Le domande presentate sono maggiori di 170mila, dimostrando la diffusione dell’esistenza dell’irregolarità in Italia.


La terza fase dell’immigrazione iniziò con la crisi del 2008, nella quale il processo di crescita si interrompe e si registra una contrazione delle iscrizioni, che diminuiscono da 462mila unità del 2008 al 419 nel 2010, giungendo a 301 nel 2017 (fig. 1.4).


Figura 1.4 Cittadini stranieri iscritti per trasferimento di residenza dall’estero (valori in migliaia), anni 2011-2017, Italia

Fonte: elaborazione propria su dati Istat


I motivi di ingresso in Italia

Con la crisi economica ugualmente tendono ad aumentare le cancellazioni per trasferimento di residenza dall’estero e a modificarsi la tipologia dei flussi migratori d’arrivo in Italia. Ciononostante il risultato finale, ad ogni modo, è un saldo migratorio sempre positivo, ma decrescente dopo il 2008. Rispetto invece alla la tipologia dei flussi sono cambiati i fattori di spinta, con una crescente rilevanza dei fattori esistenti in alcune aree d’origine, come ad esempio i nuovi conflitti nelle zone del Medio Oriente e del Nord Africa.

Cambiano parallelamente anche i motivi di ingresso in Italia. Attraverso i dati dei permessi di soggiorno concessi ogni anno si può avere una panoramica circa il mutamento che riguarda sia l’arrivo regolare di cittadinɜ di Paesi non comunitari sia i motivi del perché dei loro arrivi. Tra i diversi motivi, quello del lavoro rappresenta già negli anni 70 del Novecento il motivo principale grazie al quale veniva concesso il maggior numero di permessi. La quota dei permessi concessi per il lavoro rimase costante fino al 1989 con una percentuale del 30%, per giungere al 49,3% all’inizio degli anni 90 del Novecento.


Solamente con il 1991, la percentuale dei permessi per motivi di lavoro comincia a oscillare per effetto della crescita dei permessi concessi per motivi familiari. Alla fine del 2003, il lavoro costituiva la motivazione di quasi un milione e mezzo di permessi, pari al 66,4% del totale. Dal 2011 sono cambiati sia i flussi di ingresso regolari dai Paesi terzi sia le motivazioni dei loro arrivi: fra questi il lavoro, prevalente fino al 2010, dal 2011 lasciava il posto al ricongiungimento familiare che giungeva a essere il più diffuso. Mentre dal 2015 si assisteva a una rapida crescita dei permessi per asilo e motivi umanitari. Il 2015 è infatti l’anno in cui gli ingressi per lavoro rappresentano solo il terzo motivo dei nuovi arrivi (tab. 1.2).


Tabella 1.2 Permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini non comunitari per motivo (valori assoluti), anni 2007-2017, Italia

Fonte: Elaborazione propria su dati Istat


L’arrivo via mare e le migrazioni di arrivo irregolari

Nel 2011 le migrazioni d’arrivo risultano essere sempre al centro dei dibattiti politici, poiché si è assistito ad un aumento degli arrivi via mare, un fenomeno che ha determinato l’inizio di una nuova stagione per la storia delle migrazioni in Italia. La stagione degli arrivi via mare ha posto in difficoltà le istituzioni italiane, che si sono mostrate impreparate di fronte alla gestione di tale fenomeno, sebbene questo fosse un fenomeno noto sin dagli anni 90 (basti pensare all’esodo degli albanesi). Gli arrivi sopraggiunti via mare nel 2011 mostravano caratteristiche ben diverse rispetto ai precedenti. Nel 2011, l’Istat ha dichiarato che in Italia sono sbarcate circa 64.261 persone (fig. 1.5) a fronte delle 4.406 dell’anno precedente, un aumento quindi eccezionale rispetto all’anno precedente.


Figura 1.5 Cittadini stranieri sbarcati sulle coste italiane (valori in migliaia), anni 2010-2018, Italia

Fonte: Elaborazione propria su dati del Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione


Tra il 2016 e il 2017, dopo una lunga fase di crescita dell’immigrazione straniera irregolare, si registra sia un calo degli arrivi sia una stabilizzazione del fenomeno. Il panorama pertanto dava segnali di cambiamento: l’immigrazione nel nostro Paese si è modificata e sono aumentate nuovamente le emigrazioni da parte degli italiani.

Il 18 dicembre del 2020 è stato convertito in Legge il Decreto-legge 21 ottobre 2020, n.130 il quale è intervenuto in materia di immigrazione sotto vari aspetti. Tra questi la disciplina per la conversione dei permessi di soggiorno, le misure per l’accoglienza delle persone richiedenti protezione internazionale, la procedura di esame delle richieste di riconoscimento dello status di rifugiatə, le sanzioni nel caso di violazione dei divieti o delle limitazioni di transito e sosta delle navi nel mare territoriale.


Per concludere, la grande varietà dei Paesi di provenienza della popolazione straniera ha fatto dell’Italia un paese di immigrazione per eccellenza. Il dato più interessante deriva proprio dalla frammentazione dell’immigrazione: “Non c’è praticamente Paese al mondo che non abbia da anni una propria, magari piccola, comunità presente legalmente in Italia”. Sono ormai 40 anni che l’Italia è diventata un paese d’immigrazione e la propria società è da tempo multietnica e multiculturale.


Al 1° gennaio 2020 gli stranieri residenti in Italia sono 5.039.637 in aumento rispetto al 2019.


Delfina Bucci



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