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Immagine del redattoreFederica Biffi

Non chiamiamole “cose”: enCICLOpedia, l’indagine di WeWorld per la giustizia mestruale


Nel mondo ogni mese, sono oltre 1,9 miliardi le persone che hanno le mestruazioni. Eppure, molte hanno dovuto fare i conti almeno una volta con un atteggiamento discriminatorio a riguardo. Stando ai dati, quasi 1 persona su 6 non può acquistare prodotti mestruali. È quanto emerge dalla prima indagine sulla povertà mestruale in Italia dal titolo EnCICLOpedia. Le cose che dovresti sapere sulla Giustizia Mestruale, realizzata da WeWorld e Ipsos, in collaborazione con Equonomics e School of Gender Economics di Unitelma Sapienza. Lo studio rileva oltre 300 testimonianze, contenendo anche una stima del costo del congedo mestruale firmata dall’economista Azzurra Rinaldi. 


A sostegno del rapporto, Martina Albini, Coordinatrice Centro Ricerche di WeWorld, afferma: “La povertà mestruale che si registra tiene conto non solo di chi non può acquistare i prodotti mestruali, ma anche di chi dichiara di non poter accedere a luoghi adatti dove gestire le mestruazioni (1 persona su 2 non trova il sapone nei bagni), a chi non aveva (e in molti casi ancora non ha) le informazioni adeguate all’arrivo del menarca (4 su 10) e a chi non vede riconosciuto il proprio dolore, spesso invalidante”.


Martina Albini, Coordinatrice Centro Ricerche di WeWorld

Non posso permettermi i prodotti che preferisco


Le persone dichiarano di perdere mediamente 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro in un anno a causa delle mestruazioni e del dolore provocato. Tuttavia, più di 4 persone su 10 non si sentono mai o solo raramente a proprio agio a pronunciare le parole “mestruazioni” e “ciclo mestruale”; 1 persona su 3 chiama le mestruazioni “cose”; 1 persona su 2 ritiene che di mestruazioni e ciclo mestruale si parli troppo poco e in modo vago.


Rispetto l’esperienza della povertà mestruale, poco più di 1 persona su 5 ha dichiarato di avere sempre/avere sempre avuto a disposizione e di potersi permettere i prodotti mestruali preferiti, sia in termini di quantità che di qualità. Il 16% dichiara di non potere mai o di permettersi solo raramente di acquistare i prodotti mestruali desiderati. “Da tanti anni lavoriamo per salvaguardare questi aspetti; lo facciamo in Kenya, Tanzania, Nicaragua e in tanti altri Paesi dove la povertà mestruale è una realtà e dove spesso mancano le informazioni necessarie per vivere le mestruazioni serenamente e con dignità”, spiega Albini. 


Inoltre, solo il 5% di chi ha o ha avuto il ciclo dichiara di non aver mai provato dolore, mentre il restante 95% sì, con un’intensità media di 6,9 su una scala di dolore da 1 a 10; 4 persone su 10 dichiarano di soffrire di sindrome premestruale; solo poco più di 1 persona su 10 non ha bisogno di dover rinunciare ad attività a causa delle mestruazioni.


Incentivare la conoscenza sulle mestruazioni


La povertà mestruale è un problema globale che colpisce tutte le persone con un ciclo mestruale che, per diverse ragioni, non hanno accesso a prodotti, spazi e strutture adatte a gestire le mestruazioni


Ma non è solo una questione di costi: anche non ricevere informazioni adeguate rispetto alla gestione del proprio ciclo mestruale, il non poter scegliere liberamente per il proprio corpo, il persistere di tabù e stereotipi sull’argomento, il dover rinunciare a praticare sport, a uscire, a partecipare a occasioni sociali per vergogna o imbarazzo, sono manifestazioni di povertà mestruale. 


All’arrivo del menarca, 4 persone su 10 avevano solo una vaga idea di cosa fosse. Il 15% dichiara di non aver mai parlato con nessuno su come gestire le mestruazioni. Continua Albini: “Attraverso corsi di gestione della salute mestruale in scuole e comunità aiutiamo le bambine a conoscere il proprio corpo e le proprie esigenze e, di conseguenza, a prendere decisioni libere e informate. In questi Paesi il problema è riconosciuto e ci si sta attivando per farsene carico, a differenza dell’Italia dove un’indagine come la nostra è ad oggi l’unica”.


In Italia, poco più di 1 persona su 3 dichiara di aver seguito lezioni di educazione sessuale e affettiva a scuola. In più di 8 casi su 10 si è parlato anche di mestruazioni. Tuttavia, l’offerta di percorsi di educazione sessuale e affettiva non è omogenea sul territorio nazionale: nel Nord Est ha seguito lezioni di questo tipo il 48% del campione, nel Nord Ovest il 40%, al Sud e nelle Isole il 29% e al Centro il 27%.


#SeiPassiPer: mobilitare l’azione


#SeiPassiPer è la campagna lanciata da WeWorld a Febbraio 2024 che rimanda al Manifesto contenente sei proposte e raccomandazioni per portare ad azioni e cambiamenti concreti e costruire insieme il cammino verso una piena e completa giustizia mestruale. Essi sono: 

  • Promozione di un discorso aperto e non giudicante sul ciclo mestruale;

  • Abbattimento della Tampon Tax;

  • Distribuzione gratuita dei prodotti mestruali in tutti gli edifici pubblici;

  • Introduzione nelle scuole di curricula di educazione alla sessualità e all’affettività, inclusa l’educazione mestruale;

  • Riconoscimento nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) di tutte le condizioni, patologie e disturbi legati al ciclo mestruale;

  • Istituzione del congedo mestruale.



Il congedo mestruale è una misura attuabile?


Rispetto l’ultimo punto, in Italia non esiste una legge specifica che regoli il congedo mestruale, seppur in altri Paesi sia già stata implementata. In Europa, la Spagna ha recentemente introdotto un congedo di tre giorni per chi vive la dismenorrea primaria (dolori intensi durante il periodo mestruale). Anche in Giappone è una misura consolidata. 


A questo proposito, per stimare il costo della misura, l’economista Azzurra Rinaldi ha avviato la sua analisi partendo dalla retribuzione media annua percepita dalle donne in età fertile in Italia: considerando una stima dei giorni di lavoro persi in un anno a causa delle mestruazioni (5,6 giorni), è possibile ipotizzare un costo di base per le casse dello Stato che ammonterebbe a meno di 1 miliardo di euro all’anno (esattamente a 994,5 milioni), laddove questo si facesse carico del 100% della copertura; meno di 600 milioni di euro se la copertura statale fosse al 60%, come in Spagna. 


Sostiene Rinaldi: “Dal calcolo realizzato all’interno di questa indagine, emerge che, anche nella versione più estesa possibile, il congedo mestruale è una spesa che il bilancio pubblico può permettersi di sostenere, semplicemente facendo delle scelte e decidendo quali sono le vulnerabilità a cui dare supporto e porre rimedio. Partendo dai numeri, inoltre, anche qualora si decidesse di procedere con una copertura per tutte le lavoratrici in età fertile, la spesa rappresenterebbe soltanto lo 0,25% del totale stanziato nella scorsa manovra finanziaria”.


Federica Biffi

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