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Immagine del redattoreElena Pagnoni

Patriarcato e l'odio del femminile. Oltre la narrazione binaria della femmephobia patriarcale

Da ormai qualche tempo al tema della diversità di genere viene dato sempre più (legittimo) spazio all’interno del discorso pubblico italiano.


Eppure sono ancora troppi gli ambienti – di cui molti sedicenti femministi – che propongono una narrazione della disuguaglianza di genere in termini che vedono “le donne” come l’unico oggetto dell’oppressione patriarcale. Come se l’unica direzione in cui viaggiano le discriminazioni fosse da gli uomini verso le donne.


Quando va bene, invece, vengono inclusi (a tutta ragione, ndr) anche gli uomini, rappresentati come vittime collaterali della mascolinità tossica che essi stessi portano avanti.

Ma anche con questa aggiunta, qualcosa non torna: manca un tassello.


Il patriarcato non ha un problema con le donne. Ha un problema con il femminile, e questo trascende identità di genere e orientamenti sessuali.


Il femminile interessa tuttз: le donne (cis, trans, di ogni orientamento sessuale), gli uomini (cis, trans, di ogni orientamento sessuale), le persone trans, non binarie (e tutti i generi al di fuori e all’interno di quelli binari) e le persone intersex, a prescindere dalla loro espressione di genere e orientamento sessuale.


La femminilità – e molto spesso la percezione di essa – è ciò che non piace al patriarcato. Costituisce il bersaglio del suo potere regolatore, il quale si fonda sulla rigida gerarchia che vede il femminile subordinato al maschile, e al tempo stesso dipendente dalla validazione di quest’ultimo.


La femminilità, quindi, è tale solo se e quando è femminilità patriarcale. Cioè un modo di esistere volto alla subordinazione e all’accomodamento del desiderio maschile, attraverso una serie di prescrizioni morali e norme di comportamento ben precisi.


Gli ideali normativi di femminilità sono trasversali al genere: li ritroviamo nell’imposizione più o meno esplicita che viene fatta alle persone femme-presenting di “sorridere” o “essere piacenti nell’aspetto”, o nella richiesta che viene loro fatta di essere sessualmente disponibili senza presentarsi come esseri sessuali. Le stesse prescrizioni patriarcali le troviamo nel grande stigma riservato agli uomini cis che scelgono di curare la propria estetica, che mostrano le proprie emozioni, che piangono in pubblico, che sono (percepiti come) gay. Questi tratti, se incarnati da un uomo (o chiunque venga percepito come tale) stridono con i precetti della femminilità patriarcale, che, al contrario, richiede loro mascolinità, durezza, poca cura dell’aspetto e, ovviamente, eterosessualità.



Che nome dare, quindi, a questo sentimento antifemminile tipico del sistema patriarcale?

Femmephobia: i.e. avversione, odio, fobia del femminile.


Femmephobia indica la svalutazione sistematica del femminile che ha luogo (anche) attraverso l’imposizione di criteri – stringenti, escludenti, spesso non realistici – che se soddisfatti, la femminilità viene legittimata come tale dal patriarcato (diventando, quindi, femminilità patriarcale).


Nel suo studio, lǝ ricercatorǝ Rhea Ashley Hoskin individua cinque modi in cui il patriarcato mette in atto il suo odio del femminile:

  • Passing (o passabilità): la femmephobia scredita e sanziona le persone che si presentano o che vengono percepite come femminili. Il fatto di “passare per” è l’unica cosa che interessa al sistema di discriminazione patriarcale il quale, poco importa del genere in cui ti identifichi, imporrà norme e prescrizioni sul modo in cui agisci la tua femminilità.

  • Controllo della sessualità: patriarcato è, tra le altre cose, eterosessismo. Un altro modo in cui la dominazione patriarcale viene esercitata sulle persone femminili è tramite il controllo di qualunque orientamento o comportamento sessuale che devii dall’eterosessualità. Pratiche come lo slut shaming, il victim blaming nei casi di abuso, o virgin shaming non hanno altro obiettivo se non il riaffermare, una volta di più, la subordinazione del femminile. Il linguaggio è uno strumento potente per questo fine: la lingua italiana, in particolare, è popolata da molti termini (guardacaso femminili) violenti e discriminatori che mirano a sanzionare condotte sessuali non auspicabili per il femminile. Anche quando non è rivolto direttamente alle donne, questo linguaggio è impiegato per femminilizzare il soggetto considerato fallimentare e reindirizzarlo entro i confini della femminilità patriarcale, cioè la norma.

  • Diritto maschile di accesso a spazi e corpi che presuppone, all’altro estremo, la disponibilità sessuale incondizionata da parte di chi è percepitǝ come femminile. La femminilità patriarcale è dunque tarata su standard di desiderabilità maschile ben precisi, talmente radicati nell’immaginario collettivo di tuttз che tuttз, non solo gli uomini cis, se ne fanno portavoce e “agenti di controllo”. Qui trovano terreno fertile fenomeni come l’invisibilizzazione e la cancellazione delle soggettività bi, pan, aromantiche, asessuali le quali, contravvenendo alle prescrizioni sessuali e romantiche eteronormate, sono trattatз come individuз da “correggere”.

  • Determinismo biologico: il patriarcato, per qualche ragione, è molto affezionato al genere assegnato alla nascita. Se questo genere è capitato essere femminile (e se il patriarcato lo riesce a percepire) allora automaticamente vige l’obbligo di avere l’aspetto di una donna, di comportarsi come una donna e di rapportarsi al maschile in modo subalterno. Al contrario, se il femminile di una persona viene percepito come in contrapposizione al suo genere maschile attribuito alla nascita, allora le prescrizioni patriarcali imporranno alla persona di “essere uomo” e comportarsi come tale. La tendenza tossica e pericolosa tipica della dominazione patriarcale è quella di naturalizzare i ruoli di genere associando il genere delle persone unicamente con il genere assegnato loro alla nascita.

  • Trivializzare il femminile: anche l’ironia è uno strumento di potere patriarcale efficace perché, attraverso espedienti comici apparentemente bonari, come per esempio “le donne non sanno guidare”, lo status subordinato della femminilità è sapientemente mantenuto.

Eterosessismo, misoginia, omo-lesbo-bi-trans-a-fobia, sessismo e cultura dello stupro sono alcune tra le peggiori miserie culturali dei nostri tempi. Ma se le guardiamo da vicino e ci spogliamo delle lenti binarie con cui si analizza comunemente l’azione patriarcale, noteremo che hanno una matrice comune. Se adottiamo un approccio non binario, che vede tutti i generi (non solo le donne) come bersagli del dominio patriarcale, allora capiremmo che le componenti sottese di tutte queste forme di discriminazione e violenza sono:

  • la femminilità (patriarcale)

  • la femminilizzazione delle persone (morbosa e prescrittiva)

  • l’anti-femminilità (femmephobia)

La femminilità è un facile target per le discriminazioni e si manifesta in modo intersezionale attraverso l’identità di genere e gli orientamenti sessuali.


Allora cosa possiamo fare per smantellare questo sistema femmefobico?

  • Condanna questa narrazione! Fai notare quando qualcunǝ intorno a te fa discorsi tossici sulla femminilità patriarcale, e fallo notare (con sensibilità) quando qualcunǝ la incarna inconsapevolmente.

  • Analizza la tua femminilità (a prescindere dal tuo genere). E, se lo vuoi, rendila una femminilità resistente! Vai contro alle prescrizioni patriarcali che ti vogliono bellǝ ma mansuetǝ, che non ti consentono femminilità se ti percepiscono come uomo, ecc. Inventa la tua propria femminilità alternativa (ma non colpevolizzarti se rientri nei canoni della femminilità patriarcale).

  • Embrace your femininity (and your masculinity), indipendentemente dal tuo genere!


Elena Pagnoni

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