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  • Immagine del redattoreElena Pagnoni

Privilegio bianco e peccato originale: perché è una gabbia da cui dobbiamo liberarci

“Privilege is not in and of itself bad; what matters is

what we do with privilege. Privilege does not have to be

negative, but we have to share our resources and take

direction about how to use our privilege in ways that

empower those who lack it.”

(bell hooks, 2006)


Ciao! Se stai leggendo questo articolo, e se sei una persona bianca, probabilmente hai già scoperto di essere biancǝ.


Bene, è un ottimo livello di consapevolezza da cui partire per seguirmi in questa riflessione sul senso di colpa bianco la quale vuole offrire spunti – non di certo soluzioni – per elaborarlo, farci pace e superarlo. Nonostante le contraddizioni intrinseche di questo articolo, che vedono chi scrive in una profonda tensione tra la volontà di spogliarsi di questo peccato originale bianco e l’impossibilità pratica di riuscirci, ti invito ad arrivare fino alla fine e, se puoi, contribuire al dibattito con ulteriori spunti.


Tornando alla scoperta di essere bianchз: bianco è, sì, il colore della nostra pelle, ma non solo. Il concetto di bianchezza va ben oltre la carnagione e si riferisce a tutto ciò che viene assegnato a una persona sulla base di un sistema di valori, di idee e di saperi che fanno capo a uno standard ben preciso, quello bianco. Canoni di bellezza bianca, di produttività economica e di razionalità bianche sussistono grazie alla glorificazione del bianco e, di conseguenza, alla svalorizzazione del non bianco.


Parliamo di supremazia bianca, cioè del pilastro portante del razzismo sistemico la quale lavora strenuamente, ogni giorno, da secoli a questa parte, accertandosi di permeare ogni aspetto della società: apparati dello stato, istituzioni, cultura popolare e tendenze, sentimento collettivo.


Dalla supremazia deriva che, in linea generale, a chi è biancǝ è riservata una corsia preferenziale per accedere a determinate libertà, diritti, potere, benefici, beni e servizi che non sono invece così accessibili a persone non bianche. Senza negare o minimizzare l’intersezionalità delle oppressioni, e quindi il fatto che anche molte persone bianche si trovano in situazioni di discriminazione o svantaggio sulla base del proprio genere, orientamento sessuale, identità di genere, condizione socio-economica etc., è comunque impossibile non parlare di privilegio bianco. Il privilegio bianco è dunque un vantaggio sistemico, distribuito in modo iniquo tra i gruppi sociali ed esercitato dalla cultura dominante su persone non bianche.


Se non ti vengono in mente modi in cui il tuo privilegio bianco si manifesta nella vita di tutti i giorni prova a chiederti:

  • Mi viene ripetutamente chiesto da dove vengo veramente?

  • Temo il fatto che ogni volta che esco di casa la polizia mi fermerà (“racial profiling”)?

  • È probabile che io sia l’unica persona bianca nella stanza?

  • Vivo con la preoccupazione che persone a me care possano subire commenti o atti razzisti?

  • È probabile che nonappena apra un giornale o accenda la TV vedrò solo persone con il colore di pelle diverso dal mio ampiamente rappresentate?

  • Mi viene mai chiesto di parlare per il mio intero gruppo etnico?

  • Quando sono per negozi, giro con la paura di venire tenutǝ d’occhio/seguitǝ/sospettatǝ di furto?

Se la tua risposta più frequente è “no”, allora può essere che hai un tantinello di privilegio e che quel privilegio è da ricollegare alla tua bianchezza.


Ora, sei hai scoperto di 1) essere biancǝ e 2) di avere del privilegio bianco, può darsi che un sentimento associato a queste realizzazioni sia il senso di colpa bianco, “white guilt”. Senso di colpa per essere natǝ con un debito incorporato che non sai esattamente come saldare né con chi e che certamente non hai chiesto; senso di colpa per andare in giro ogni giorno con il fenotipo dell’oppressione e per rappresentare agli occhi di moltз il prodotto di un sistema ingiusto, tossico e corrotto che funziona a favore tuo e a scapito loro.


No, non è proprio un bel feeling, anzi è doloroso, e scomodo. Ma esiste e per questa stessa ragione è valido. Quello che puoi chiederti è: cosa posso fare con questo senso di colpa? Ti ci puoi crogiolare, certo, anche pubblicamente, sottolineando quanto tu sia la vittima accidentale di un meccanismo che intrappola la tua identità in quella dell’oppressore, ma questo non farebbe che continuare a centrare il focus su di te e sulla tua bianchezza, anziché sulle ingiustizie subite ogni giorno da persone non bianche. E, francamente, non aggiungerebbe un granché alla conversazione.



Come fare, allora, per essere più della tua eredità razzista?


Anzitutto, riconosci la sua esistenza, sii consapevole degli effetti che storicamente ha provocato e che continua a causare oggi, e ammetti la possibilità che questo retaggio possa influenzare la percezione che le persone non bianche hanno di te, non conoscendoti. Ma soprattutto mettiti in testa che, nel caso avessero una percezione negativa, non ce l’hanno con te personalmente ma con l’architettura di dominazione secolare che rappresenti. E su questo meccanismo, mi spiace, non hai controllo alcuno. Ma allo stesso tempo è un meccanismo che tu, che io, e che le altre persone bianche dobbiamo accollarci perché è inevitabile. L’importante è non lasciare che questo senso di colpa – che abbiamo detto essere lecito e valido – sfoci in vergogna, in mortificazione per essere biancǝ (white shame). Perché la vergogna, per sua natura, mira a stigmatizzare la tua intera identità come individuǝ, anziché alcune tue azioni specifiche, o quelle di altre persone prima di te. Di conseguenza è facile che dalla vergogna scaturiscano dinamiche come condannare te stessǝ in toto in quanto persona bianca, o come il silenzio bianco, o altri meccanismi psicologici che non approfondirò qui ma che puoi trovare in questo articolo.


Inoltre, per quanto sia scomodo da ammettere, i sentimenti di colpa e vergogna delle persone bianche non sono il problema da risolvere o la ferita da rimarginare. Il razzismo invece sì. E, non per fare a gara a chi soffre di più, ma penso siamo d’accordo nell’affermare che chi soffre perché in gioco c’è la sua stessa vita o quella di chi ama ha la precedenza su chi prova senso di colpa a causa del suo privilegio.


Ed è esattamente per questo che scoprire il proprio colore è il primo step per mettere in atto un antirazzismo efficace. Una volta che hai fatto pace con il tuo senso di colpa, e cioè che hai accettato che è un sentimento legittimo e comune e che non parla necessariamente di te come singolǝ ma piuttosto del sistema di dominazione perpetuato dal tuo gruppo etnico, è utile evidenziare il nesso logico che c’è tra colpa e responsabilità. Benché tu non sia direttamente macchiatǝ di una colpa che è imputabile ad altrз venutз prima di te e da cui tu ti dissoci in maniera assoluta, incombe su di te una responsabilità. La tua responsabilità è quella non solo di astenerti dal riprodurre qualsiasi espressione della supremazia bianca, ma di agire concretamente e quotidianamente per smantellarla. Permetti al quel senso di colpa altrimenti vano di essere impiegato come propulsore per una crescita vera, per un cambiamento radicale.


Se ti stai chiedendo come fare, inizia diventando alleatǝ nella lotta contro il razzismo (qui puoi trovare sette punti che ti guideranno). Puoi assicurarti di non reiterare attraverso i tuoi comportamenti, le tue scelte di consumo, e le tue azioni quotidiane logiche razziste o di oppressione. Metti il tuo privilegio a servizio delle persone direttamente colpite dal razzismo e cerca di coinvolgere più persone bianche possibile . Se abbiano già scoperto di essere bianchз o meno, poco importa, perché lo scopriranno presto.


All’interno delle narrazioni contro il razzismo – sicuramente quelle portate avanti dai media tradizionali – si è ancora troppo timidз nel dire che creare una società più equa e giusta è nell’interesse di tuttз. Forse perché questo “tuttз” non rappresenta lo status quo fatto di uomini bianchi e borghesi che i media tradizionali hanno il compito di preservare. È allora responsabilità nostra spostare la narrazione su un piano più radicale, più profondo, che metta le persone bianche nella condizione di scoprire la propria bianchezza, riconoscere il proprio privilegio, fare pace con il senso di colpa che ne deriva e impegnarsi davvero nella lotta. Perché l’antirazzismo deve passare dall’essere un’attività che facciamo quando abbiamo due ore libere il sabato pomeriggio a qualcosa che facciamo quotidianamente, e su più fronti, perché letteralmente dall’impegno della collettività dipendono delle vite.


Superiamo allora il nostro senso di colpa, trasformandolo in carburante ed esplosivo per cambiare una realtà che abbiamo capito essere ingiusta, iniqua. E la mia personale speranza, a questo proposito, è che il cambiamento avvenga come uno sforzo collettivo, di comunanza tra bianchз e non bianchз. Sleghiamoci dalla retorica divisiva che ci vede essenzialmente incompatibili in questa missione, perché così facendo rischiamo di reiterare quelle differenze immaginarie che nel corso della storia umana hanno ampiamente dimostrato di essere fallimentari.



L’antirazzismo riguarda tuttз. Auto-escluderci, escluderci, fare gatekeeping al dibattito in nome di un peccato originale che non si può materialmente espiare è controproducente ai fini della causa e, personalmente, molto triste *white guilt alert*.


Moltɜ di noi appartengono alle generazioni Millennial e Gen Z, che storicamente sono le più eterogenee a livello etnico e di conseguenza le più esposte a (e istruite su) fenomeni come multiculturalità e pluralismo. Rendiamo giustizia a questi numeri, creando modi nuovi di parlare di antirazzismo, strumenti nuovi per contrastarlo e spazi più inclusivi volti a un cambiamento radicale della narrazione. Apriamo questo spazio, facciamo rete tra non bianchз e bianchз in quanto cittadinз della stessa società, la quale ha un estremo bisogno che valori come uguaglianza, dignità e diritti umani smettano di essere concetti di retorica vuoti, e che vengano riempiti di sostanza.


Questo, sia chiaro, non assolverà te, persona bianca, dal fardello che la tua bianchezza porta con sé, né l’agenzia debiti estinguerà completamente il debito dato dal tuo privilegio. Ma in fondo non è questo l’obiettivo. In quanto biancǝ, la sola cosa che puoi fare dopo aver fatto pace con il tuo senso di colpa, è di riconoscere il lavoro che ti spetta di fare, e decidere se e come farlo.


Non sarai mai esentatǝ da esami di coscienza, dal sottoporti una volta in più a critica e autocritica, dal chiederti se quello che stai facendo è frutto o meno del tuo privilegio, se potresti farlo in un modo diverso, se con la tua voce da biancǝ ne stai silenziando altre, se stai occupando spazi su cui altre persone non bianche hanno la precedenza, se stai usando uno sguardo sufficientemente adatto alla complessità di questo mondo.

E fai pace anche con queste scomode eventualità perché, a ben guardare, sono un prezzo più che equo da pagare.


Elena Pagnoni


Fonti:




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