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Immagine del redattoreErica Ruggieri

Salute mentale: tra stigma e misconoscimento

Invisibilizzati, messi in discussione, inesistenti. Spesso i disturbi mentali nella società attuale non sono considerati - né trattati - con la dovuta considerazione e importanza, dando adito a pregiudizi e forme disfunzionali di percezione degli stessi. Tuttavia, la salute mentale è un aspetto fondamentale della nostra vita, e non dovrebbe essere trascurato: promuovere una cultura dell’accettazione relativamente a condizioni psicologiche è fondamentale per migliorare la qualità della nostra vita.


Lo stigma legato alla malattia mentale è presente da tempo. Il 13 Maggio 1978 entrava in vigore la Legge Basaglia, con la quale il Parlamento Italiano imponeva la chiusura dei manicomi e la regolamentazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio – anche conosciuto come TSO – e dei servizi di igiene mentale pubblici. Prima di ciò, coloro che erano affettɜ da disturbi mentali erano consideratɜ irrecuperabili e socialmente pericolosɜ, tali da meritare l’allontanamento dal resto della società, perdere i diritti civili ed essere iscrittɜ nel casellario penale.


Nonostante le modifiche legislative, lo stigma sui disturbi psichici e la poca attenzione rivolta alla condizione psicologica degli individui pervade la società odierna. Dal report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) World Mental Health Report: Transforming Mental Health for All del 2022 emerge che una persona su otto nel mondo convive con un disturbo mentale, e mette in luce come sia necessario un cambiamento su tutti i fronti, dai servizi accessibili alla sensibilizzazione sull’importanza di chiedere aiuto. Lo stigma nei confronti della salute mentale da parte delle istituzioni e della società, infatti, è alimentato dalle condizioni socio-economiche che caratterizzano l’epoca contemporanea. Tale condizione risulta il prodotto della storia e non solo un fenomeno emerso nella contemporaneità, periodo in cui – grazie al progresso – è possibile riconoscere e nominare le diverse forme di disagio mentale.




Minority stress e comunità LGBTQIA+: uno stress psicosociale


Tra le condizioni socio-psicologiche che influenzano la salute mentale, il minority stress – in italiano noto come “stress da minoranza” – è il carico eccessivo di stress a cui sono sottoposti gli individui appartenenti a categorie sociali stigmatizzate o minoranze. Coniata per la prima volta nel 1981 in Minority Stress and Lesbian Women dallə studiosə e ricercatorə Winn Kelly Brooks, la teoria dello stress da minoranza sessuale – in particolare – mostra come “l’esposizione ai fattori di stress culturali, sociali ed economici si traduce in stress psicologico e biofisico” per le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+.


Nonostante il lavoro di Brooks non abbia raggiunto la visibilità auspicata, le sue teorie hanno contribuito al Rapporto sulla Salute LGBT dell’Istituto di Medicina (2011) a cui è conseguita, nel 2016, l’istituzione dell’Ufficio di Ricerca sulle Minoranze Sessuali e di Genere presso il National Institutes of Health (NIH); e, successivamente, alla designazione delle minoranze sessuali e di genere come Popolazione di Disparità Sanitaria NIH: due passi fondamentali per lo studio e la ricerca sulla salute delle persone LGBTQIA+.


L’esposizione continua di queste ultime a linguaggi d’odio, continue invalidazioni e giudizi, infatti, provoca un conflitto interiore circa la propria identità, tale da innescare vergogna, paura e senso di inferiorità. Come si legge in un articolo de La Falla del Cassero LGBTQIA+ Center di Bologna, una persona queer “sperimenta un conflitto significativo tra i propri valori e quelli che governano la maggioranza, trovandosi sottoposta a stress psicosociale sistematico” dovuto all’omofobia interiorizzata, allo stigma, alla discriminazione ed alle violenze subite.


In particolare, tra le conseguenze del minority stress esperito dalla comunità LGBTQIA+ vi è la compromissione dell’efficacia della regolazione delle emozioni e della capacità di affrontare i problemi, un incremento nell’abuso di sostanze in grado di creare dipendenza, la proliferazione di sintomi ansiosi e depressivi. Nello stesso articolo, la psicologa e psicoterapeuta Chiara Lora afferma come “il minority stress comporta inoltre una maggiore probabilità di avere più disturbi mentali in associazione, un minore supporto sociale, ridotti contatti con la propria famiglia di origine e minore soddisfazione nei rapporti con le proprie reti”. Non solo, esso “promuove una visione negativa di se stessi, del mondo e del futuro e riduce i propri livelli di autostima”.



Il gaslighting tra personale e politico


Il fatto di mettere in dubbio una condizione o una percezione personali si riconduce anche al fenomeno del gaslighting, definito dal Merriam-Webster Dictionary come la “​​manipolazione psicologica di una persona di solito per un lungo periodo di tempo che induce la vittima a mettere in discussione la validità dei propri pensieri, della percezione della realtà o dei ricordi” provocando “confusione, perdita di fiducia e autostima, incertezza della propria stabilità emotiva o mentale e dipendenza dall'autore”. A tutti gli effetti una forma di abuso psicologico basato su stereotipi e costrutti sociali, il gaslighting affonda le sue radici nell’ambito relazionale, per lo più di coppia. Come citato in un articolo de Il Sole 24 Ore – “chi la subisce è quasi sempre una donna”, al punto da far rientrare il fenomeno del gaslighting “nello schema della violenza di genere”. A causa della manipolazione, infatti, il ruolo del gaslightee (ovvero di chi subisce tale comportamento) è “dato dal legame di dipendenza e dal bisogno costante di approvazione da parte del gaslighter”, che a sua volta “necessita di vedere accettata la sua realtà distorta”, così come di “alimentare il suo status di manipolatore e il potere dato dal controllo esercitato”.


Il fenomeno del gaslighting, tuttavia, è sempre più diffuso anche nell’ambito politico e dell’informazione, e le insufficienze istituzionali – derivanti dall’inefficienza dei servizi che il settore pubblico dovrebbe offrire alla popolazione – sono responsabili della costruzione dello stigma e del malessere sociale. Infatti, oltre a diffondere disinformazione e aumentare i pregiudizi sulla salute mentale, il gaslighting in politica nega alle nuove generazioni (e non) il riconoscimento circa le problematiche sociali da loro poste in luce. Lo stesso Segretario Nazionale Medici della FP CGIL, infatti, evidenzia come l’attuale governo Meloni  non ritenga la sanità una priorità, al punto da definanziare il fondo sanitario nazionale.


Tuttavia, se da un lato misure incoraggianti come il bonus psicologo sono un passo verso la destigmatizzazione della salute mentale, dall’altro lato lo stesso bonus è portatore di una serie di criticità, tra cui la sua natura elitaria e l’essere un incentivo per il settore privato. A partire dalle dichiarazioni del Codacons, secondo cui il bonus psicologo è fine a se stesso se non accompagnato da interventi più strutturali, sarebbe auspicabile implementare misure più accessibili a tuttɜ, dal punto di vista economico tanto quanto infrastrutturale.


Alla luce dei fenomeni evidenziati, la strada verso la totale destigmatizzazione dei disturbi mentali e delle diverse forme di disagio psicologico sembra ancora lunga. L’obiettivo non può essere raggiunto senza un contestuale miglioramento delle condizioni politiche e sociali che caratterizzano la società e la vita delle minoranze. Riconoscere e affrontare le mancanze istituzionali, garantendo i servizi necessari per perseguire un benessere psicologico diffuso, è solo il primo passo verso una società libera da pregiudizi e curante dellɜ propriɜ cittadinɜ.


Erica Ruggieri


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