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  • Immagine del redattoreEleonora Mentechini

Vulvodinia e salute mentale: convivere con una malattia invisibile

Le “malattie invisibili” sono quelle patologie croniche, fisiche e/o mentali, che non presentano segni evidenti ed osservabili esteriormente e per questo definite tali, ma i disagi e dolori che le persona prova non solo sono vivi e presenti, ma anche molto invalidanti. 


Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la totalità delle malattie considerate “invisibili” è circa l’80% dei disturbi attualmente presenti e studiati. Purtroppo, la stigmatizzazione correlata a queste patologie porta risvolti anche pratici: molte delle malattie invisibilizzate non sono riconosciute dallo Stato italiano come disabilità, nonostante comportino cure invasive e spesso molto costose, che naturalmente non vengono offerte dal sistema sanitario pubblico. 


Cos'è la vulvodinia?


Sono Eleonora, ho 24 anni e soffro di vestibolodinia e neuropatia del pudendo, diagnosi che ho ricevuto da circa un anno. La vestibolodinia è un fenotipo della vulvodinia e fa riferimento alla manifestazione della stessa nell’area del vestibolo vulvare. La vulvodinia è una delle patologie definite come “malattie invisibili”, è caratterizzata da dolore cronico nella zona vulvare, spontaneo o provocato, presente da almeno tre mesi o più (International Society for the Study of Vulvovaginal Disease, ISSVD; 2004). Molti dei casi totali di dolore pelvico cronico, come nel mio caso, sono causati da una condizione di neuropatia del pudendo


Il dolore che si prova è diverso da caso a caso ma comunemente riferito come sensazioni di formicolio, bruciore, punture, pressioni, fino a coltellate (Graziottin e Murina, 2011; Maksimova, 2021). La vulvodinia è riscontrata in un range tra il 10 e 28% delle persone con vulva in età riproduttiva, con una maggiore incidenza dei casi di vestibolodinia (Pukall, 2016). 


Nonostante sia una patologia relativamente diffusa e di grande impatto sulla qualità di vita della persona, la vulvodinia è poco conosciuta e studiata anche dal personale medico. Infatti, il 40% delle persone con dolore cronico nell’area vulvare non ricerca un parere specialistico; mentre il restante 60% consulta più di tre specialisti prima di ricevere la diagnosi corretta. Non di rado, siamo accusatɜ di ingigantire il dolore, o addirittura di inventarcelo. Ciò risulta in un ritardo medio nella diagnosi di cinque anni, che comporta ingenti (ed inutili) costi sia per chi ne soffre, che per il sistema sanitario.


Le spese mediche mensili correlate a queste patologie sono variabili, ma in media raggiungono i 400 euro, cifra che pochɜ possono permettersi e che esclude moltɜ dall’accesso alle cure e dal diritto alla salute.  La guarigione è un processo lungo e caratterizzato da alti e bassi, ma non è assicurata e le tempistiche variano da caso a caso. 



Vivere con una malattia cronica non riconosciuta


Cosa succede quando una persona vive una disabilità che non viene riconosciuta come tale? 


Convivere con una malattia cronica invisibilizzata ti rende a sua volta invisibile. Anche nella più semplice quotidianità ci sono delle difficoltà e necessità che le altre persone non vedono e, per questo, le rende di difficile comprensione. 


Nel mio caso, ci sono norme comportamentali da seguire che aiutano la guarigione e l’affievolimento dei sintomi, ma rendono sicuramente più difficile la vita di tutti i giorni. Per esempio, i miei jeans preferiti? Posso scordarli, così come i vestiti che stringono o sono attillati e particolarmente duri o spessi, o con cuciture nella zona vulvare che possono provocare dolore e peggiorare la situazione. Anche la biancheria intima deve interamente essere specifica e di cotone. È necessario tenere la zona al caldo e fare attenzione a non passare troppo tempo sedute, ma anche lo sport deve essere controllato, poiché può gravare sulla muscolatura del pavimento pelvico e sulla sintomatologia. In particolare, la vulvodinia intacca fortemente la dimensione dell’intimità sessuale, in quanto spesso il dolore che si può provare sia nella fase di  eccitazione, che durante i rapporti, specialmente quelli penetrativi, condiziona fortemente l’attività sessuale e i rapporti con lɜ altrɜ. D’un tratto ogni attività che sembrava semplice e scontata, diventa difficile e insidiosa. 


Quando la tua malattia cronica non è riconosciuta dallo Stato, in qualche modo anche tu hai meno diritto di autodeterminarti. Proviamo a pensare all’ambiente di lavoro, oppure all’Università/Scuola. Non essendo legalmente riconosciuta come disabilità, la vulvodinia non può essere motivo di assenza, oppure di particolari richieste, ad esempio una sedia più comoda o una certa libertà nel poter usare i servizi igienici frequentemente. Chi soffre di malattie invisibili sente la pressione di dover provare ogni giorno a chi lə circonda che il dolore che vive è reale e vero, che non è frutto di un’esagerazione personale.  




La vulvodinia incide anche sulla sfera emotiva e sociale


Il benessere psicofisico subisce un cambiamento netto quando si soffre con una malattia cronica e la percezione temporale del vissuto personale si suddivide in due: prima della malattia e dopo la malattia, come se fossero due vite diverse. La vulvodinia è causa non solo di una disfunzione a livello fisico, ma anche emotivo e sociale. Ci sente solɜ, incompresɜ, nudɜ di fronte ad un sistema che non  sostiene e non capisce, mentre la preoccupazione riguardo il futuro è pervasiva e martellante. 


La vulvodinia è strettamente correlata ad alti livelli di stress psicologico, che a sua volta aumenta la probabilità di comorbilità psichiatriche, come l’ansia o la depressione: coloro che ne hanno sofferto in passato hanno una probabilità da tre a cinque volte maggiore di avere una scarsa qualità di vita rispetto a chi non ha precedenti episodi depressivi. Si può ipotizzare, quindi, che le conseguenze negative della vulvodinia potrebbero favorire l’insorgenza della depressione ma, al contrario, anche una condizione depressiva  pre-esistente potrebbe potenziare l’impatto della vulvodinia sul funzionamento individuale (Khandker et al., 2011).


Spesso il dolore diventa l’unico punto di contatto con il proprio corpo, perché non c’è altro linguaggio possibile. A riguardo, la letteratura sottolinea come le persone che ne soffrono possano essere influenzate e spinte dalla loro condizione alla stessa catastrofizzazione delle esperienze, con paura e ipervigilanza riguardo le sensazioni corporee, la quale aumenta l’esperienza dolorosa e rende quasi impossibile la soddisfazione sessuale (Chisari et al., 2021).


Il ruolo del sistema patriarcale nella vulvodinia


Gli studi condotti sulla condizione delle persone con vulvodinia nella società sono accomunati da alcuni concetti chiave strettamente correlati alla mentalità patriarcale che caratterizza l’odierna società. Tra questi vi è il concetto di “imperativo coitale”, secondo cui il rapporto sessuale “vero” è esclusivamente quello penetrativo (Jackson, 1984). Uno studio condotto nel 2017 su un campione di persone con vulvodinia riscontra questo tema, quando molte delle donne intervistate hanno indicato come per loro il termine “rapporto sessuale” sia riferito al sesso penetrativo e che l’uomo, in quanto tale, abbia bisogno di fare sesso e la donna sia costretta a farlo anche se ciò le causa dolore. 


Soffrire di vulvodinia intacca la percezione di noi stessɜ; è frequente vivere un senso di perdita della propria persona, la sensazione di essere “rottɜ” a causa della malattia. Questo si collega direttamente all’incapacità di avere rapporti penetrativi ed alla paura di non essere compresɜ per questo, di essere stigmatizzatɜ e abbandonatɜ. L’origine di ognuno di questi fenomeni sociali è rintracciabile all’interno dei costrutti e dei valori promossi dalla società etero-cis-patriarcale in cui viviamo, ove il sesso è intrinseco di  fallocentrismo ed il corpo delle donne e delle persone socializzate come tali è ancora di proprietà maschile. 


Il rapporto con la propria malattia, infatti, è fortemente influenzato dalle relazioni, soprattutto se di tipo sessuale: la pressione da parte dɜ partner riguardo l’attività sessuale e l’ostilità che consegue da una risposta negativa, oppure da un rapporto sessuale andato male possono peggiorare l’esperienza dolorosa, perché – oltre che vivere personalmente il dolore – questo diventa un ostacolo, causando sensi di colpa e mortificazione.


La divulgazione e l’attenzione che aumentano di giorno in giorno intorno al tema delle malattie invisibili è fondamentale e non è mai abbastanza. Essere in contatto con altre realtà e persone che soffrono o si occupano di malattie invisibili aiuta a rendersi conto di non essere solɜ, di non essere lɜ unicɜ. Vivere con la vulvodinia è quindi un’esperienza a 360 gradi; ed è difficile separare il proprio vissuto dalla propria diagnosi (quando c’è), perché ogni aspetto è influenzato dalla malattia.


Fino ad un anno fa, quando la sera andavo a letto, non riuscivo a smettere di pensare al perché questo fosse successo a me, perché alla mia persona, perché alla mia vita. Mi sentivo persa e pensavo che niente sarebbe più tornato come prima. Mentirei, se dicessi che ad oggi questo non succede più, ma avere una diagnosi, vedere scritto e spiegato il dolore che da mesi provavo sulla mia pelle, mi ha fatto sentire vista, valida, ascoltata. Mi ha salvata. 


Da quel momento, tuttavia, il ruolo di “malatɜ” ci si incolla addosso perseguitandoci. Dobbiamo curarci, imparare a farlo in modo costante e stabile, spiegarci con chi ci è vicino e non, rispecchiare le aspettative altrui e di un personale medico che si aspetta che siamo lɜ “malatɜ perfettɜ”, perché se non abbracciamo questo ruolo seguendo le aspettative esterne, possiamo incorrere nell’assenza di empatia e comprensione, essere messɜ in discussione del nostro vissuto e del nostro dolore. Per questo è importante continuare a formarsi sul tema delle malattie invisibili e lottare perché siano riconosciute dallo Stato in quanto disabilità, perché io, Eleonora, e così come altre migliaia di persone che convivono con malattie croniche invisibili, siamo questo e molto altro ancora. 


Eleonora Mentechini


Siti utili


cistite. info: sito utile per ricercare specialistɜ specializzatɜ nel dolore pelvico cronico


vulvodinineuropatiadelpudendo.it: sito creato dal comitato “Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo”, utile per supporto e rete sociale e rimanere aggiornatɜ riguardo i progressi giuridici e legislativi in materia


vulvodinia.online: sito informativo e divulgativo


Fonti


Chisari, C., Monajemi, M. B., Scott, W., Moss‐Morris, R., & McCracken, L. M. (2021). Psychosocial factors associated with pain and sexual function in women with Vulvodynia: A systematic review. European Journal of Pain, 25(1), 39-50.


Graziottin, A., & Murina, F. (2011). Vulvodinia: Strategie di diagnosi e cura. Springer Science & Business Media.


Jackson, M. (1984). Sex research and the construction of sexuality: A tool of male supremacy? Women’s Studies International Forum, 7, 43–51.


Khandker, M., Brady, S. S., Vitonis, A. F., MacLehose, R. F., Stewart, E. G., & Harlow, B. L. (2011). The influence of depression and anxiety on risk of adult onset vulvodynia. Journal of women's health, 20(10), 1445-1451.


Pukall, C. F. (2016). Primary and secondary provoked vestibulodynia: a review of overlapping and distinct factors. Sexual medicine reviews, 4(1), 36-44.


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